Recensione: Noi e la Giulia
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La commedia italiana sta scoprendo non solo un nuovo, giovane e talentuoso attore, ma anche un nuovo, giovane e talentuoso regista, dittico non facilmente riscontrabile negli ultimi tempi, soprattutto nel genere comico. Il suo nome è Edoardo Leo, classe ’72, romano doc laureato con il massimo dei voti in lettere classiche, benché interpretasse in Smetto quando voglio un neurologo disoccupato.
Ed è proprio da quel piccolo ma al contempo preziosissimo gioiello cinematografico di Smetto quando voglio che intendo far partire la mia riflessione sul terzo film da regista di Edoardo, Noi e la Giulia, di cui è interprete assieme al sodale Stefano Fresi – dico “sodale” perché i due avevano recitato a fianco anche nella suddetta pellicola di Sibilia -, a Claudio Amendola – assieme ne La mossa del pinguino -, qui nei panni di un violento e manesco compagno comunista, e a Luca Argentero, algido torinese apatico.
Perché partire da Smetto quando voglio? Volevo partire da lì perché protagonista indiscussa anche di Noi e la Giulia è la generazione anni ’70, gli attuali quarantenni, per intenderci. E il contesto in cui questi quarantenni si ritrovano è sempre quello della crisi e della conse-guente disoccupazione lavorativa. Una generazione, insomma, a cavallo tra quella nuova e quella vecchia che è stata colpita in pieno da questa recessione economica e lavorativa italiana.
Dunque, come in Smetto quando voglio, tema portante di questo film è il modo in cui singoli individui falliti, dopo aver riconosciuto il proprio fallimento, si riscattino aggregandosi con propri simili per scongiurare, o almeno trovare una possibile soluzione ai propri disagi, proprio come Leopardi ne La ginestra, la sua poesia testamentaria, suggeriva agli uomini di formare una catena umana per fronteggiare la natura maligna nello stesso modo in cui le piante ginestrine si intrecciano tra loro per opporsi all’incandescente lava del vulcano. D’altronde, la laurea in lettere classiche parla chiaro.
Se in Smetto quando voglio la catena era formata da sette ricercatori universitari precari, in Noi e la giulia si tratta di un quartetto di lavoratori falliti e/o in fallimento che, per dare una svolta positiva alla propria vita, comprano un casale in campagna da trasformare in un agriturismo. Diego, costernato venditore d’auto torinese (Argentero), Fausto, televenditore truffaldino e razzista (Leo), Claudio, ipocondriaco che ha fatto fallire l’impresa familiare attiva dal 1910 (Fresi) e Sergio, un ex compagno che rimpiange le sue occupazioni giovanili (Amendola), devono, però, fare i conti con la mafia locale, in particolare con Vito (Claudio Buccirosso).
Noi e la Giulia è un film esilarante dotato di un’unicità e unità pluralistiche. L’opera di Edoardo Leo racchiude in sé non solo un messaggio ottimista di speranza, riscatto e rinascita per aggregazione (il classico l’unione fa la forza), ma anche luoghi comuni sarcastica-mente parodiati. E’ per questo motivo che affermo che in questo film c’è più di un’anima, ci sono più sfumature, cinquanta, forse cento, sfumature non esclusivamente dell’Italia odierna, ma soprattutto della vita umana, che ha l’apice della propria realizzazione nell’incontro e nello scambio osmotico di pareri e pensieri tra persone che hanno dovuto riconoscere anzitutto loro stesse per essere in grado di riconoscere le altre.
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