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[Recensione] Non c’è cuore di Antonella e Franco Caprio

Creato il 13 luglio 2013 da Queenseptienna @queenseptienna


[Recensione] Non c’è cuore di Antonella e Franco CaprioTitolo:
Non c’è cuore. Cinico ritratto di scuola
Autore: Antonella e Franco Caprio
Editore: Betelgeuse
Anno: 2013
ISBN: 9788863490275
Formato: libro
Lingua: italiana
Numero pagine: 250
Prezzo: € 14,00
Voto: [Recensione] Non c’è cuore di Antonella e Franco Caprio

Trama: La giovane insegnante precaria, Silvia Martini, è al suo primo incarico annuale nella Scuola “Edmondo De Amicis”, collocata in un quartiere periferico e multietnico della città di Torino. Si ritrova a insegnare in una quarta primaria, una classe difficile da gestire che affronterà con i consigli dell’amica Mirella Sciascia, insegnante alle soglie della pensione. Molteplici saranno le vicissitudini che gli alunni della classe (tra cui la disadattata Pamela, il bullo Alessandro, la viziata Nicoletta e i tanti alunni stranieri), ma a volte anche i colleghi, le faranno vivere, fino al concretizzarsi di un drammatico incidente. Evento che la colpirà profondamente nell’animo, inducendola a sentirsi indirettamente responsabile e a riconsiderare il proprio operato, raccogliendo del materiale, sull’anno scolastico trascorso, in un dossier che poi porgerà al Procuratore (e quindi al lettore) che si occupa del caso, sia per fornire un aiuto alle indagini, ma soprattutto per vedere assolta la propria coscienza.

Recensione: Si tratta di un romanzo atipico, fatto di collage di pensieri, di note, temi scolastici, scambio di mail tra insegnanti, in pratica un esauriente dossier. In apertura vi è una drammatica lettera accompagnatoria, alla ricerca di una spiegazione che nell’immediatezza dei fatti non è stata trovata.

Fin dall’inizio Silvia Martini e le sue colleghe raccolgono un materiale prezioso costituito da considerazioni, confessioni, tracce del vissuto di ciascun alunno. Ci si aspetta forse che i bambini si esprimano sempre apertamente, raccontando per filo e per segno ciò che accade. Il fatto è che essi prima di raccontare devono trovare le parole, le immagini giuste, si interrogano sul significato, con un occhio di riguardo verso le aspettative dei grandi. Perché ciò che i bambini dicono ha la sostanza di un messaggio cifrato che non nasconde niente. Ciò che occorre sono le giuste chiavi interpretative. Insomma: un compito colossale, inumano, difficile.

Il puzzle si ricompone alla fine, quando è troppo tardi. Serve a poco, tra il serio e il faceto, un linguaggio più esplicito e diretto del bullo di turno, come a dire, in coro con gli altri: «Da un anno vi diciamo queste cose, e non avete ancora capito.»

Sono storie di emarginazione, di eccessi, di un mondo insalubre al quale i bambini si adattano come possono.

La questione non è come mai i bambini di oggi siano così diversi da quelli di ieri. Sono gli stessi, il DNA non cambia da una generazione all’altra. Quello che cambia vorticosamente è il mondo circostante. Si tratta di un mutamento che coinvolge l’essere umano in maniera drammatica, costringendolo a trovare soluzioni in tempi brevi alle sfide che si pongono lungo il cammino. Non ha modo di specializzarsi al ritmo dell’evoluzione, deve agire subito per non soccombere, in primo luogo attraverso i propri comportamenti. I bambini fanno la stessa cosa: in tenera età assorbono tutto, emozioni, immagini, parole, le spiegazioni che vengono date, diventano lo specchio della realtà circostante, che trapela nei loro stessi giochi. Da essa acquisteranno e consolideranno un’impronta indelebile.  La questione non è quindi solo correggere, educare i bambini, controllare i loro atteggiamenti, è soprattutto intervenire su ciò che accade intorno a loro, che li trasforma, a volte, in qualcosa di più che pesti o barbari. Il ruolo dell’insegnante, dei genitori, dei grandi, è combattere per forza di cose una battaglia contro il mondo intero:

Non riuscirò mai a fare di questi bambini una vera classe perché è una battaglia contro il mondo intero, contro l’intera società…

Con tutta la buona volontà, il compito di Silvia è immane. Ciò a cui è chiamata assomiglia a tratti a una vera e propria indagine poliziesca su tutti i fronti. Per capire con chi abbia a che fare non basta sondare il terreno, studiare (è la parola giusta) i temi svolti. Non mancano in proposito consigli preziosi ed espliciti dell’amica Mirella:

Ti consiglio, pertanto, di chiedere informazioni alla tua collega (che conosce la classe da più tempo di te) e di consultare i documenti d’iscrizione, sui quali potrai trovare elementi utili per la tua indagine. Inoltre, credo sia arrivato il momento di attivare in classe delle strategie che possano promuovere momenti di discussione in cui affrontare direttamente con i bambini i loro problemi.

Una buona strategia è stata quella di discutere in classe un articolo di giornale al mese. I bambini scelgono notizie di cronaca nera, di delitti efferati, di violenza inaudita, e l’insegnante è esterrefatta, preoccupata. Perché proprio quelli?

Perché è quasi impossibile scovarne altri, ci si impiega più tempo di quello occorso a Marcel Proust nel trovare il suo tempo perduto, concluderà sconsolata la maestra Silvia. I bambini non vivono nel mondo di fiabe che non si raccontano più, ma in quello dove si perdono e si arrabattano alla meglio gli adulti stessi, nel quale i valori di un tempo, anche se inculcati con un velo di ipocrisia e trasudanti di retorica,  non hanno pregio. I valori di cui era o sembrava impregnato il libro Cuore di De Amicis allora facevano comunità, erano condivisi. Ora non più.  Basta prendere in considerazione solo il brano di un tema, colmo di compiacimento e di una buona dose di cinismo:

Io sono una bambina moderna con tanti passatempi interessanti, lei invece dopo la scuola resta a casa tutto il giorno perché suo padre è disoccupato e quindi non ha i soldi che invece ha il mio papi che è ingegnere ed è dirigente alla Ferrero. Quando guardo Manuely penso che sono proprio una bambina fortunata. Povera Manuely, mi fa tanta pena.

La commozione è affettata, fasulla, manca totalmente l’empatia verso il prossimo. Semplicemente perché non ve ne è spazio, non fa comunità, è un valore che isola, emargina chi lo prova. La gentilezza di cuore è ingiustificabile, fuori dall’ordinario. Ingenera sospetto, rende diversi, non dà le risorse necessarie per tirare avanti, per sopravvivere, tenersi saldi: è questa, in fondo, la prima lezione che ciascuno ha imparato da sé.

E tuttavia c’è una richiesta di fondo inascoltata: con i loro comportamenti, attraverso gli articoli di giornale, hanno posto domande, ricercato una spiegazione difficile da dare.

Se ve ne fosse una, lo stesso universo degli adulti brillerebbe di un’altra luce, si darebbe riscontro alle grandi domande dell’esistenza.

Se ve ne fosse una, la maestra Silvia non si porrebbe a sua volta le stesse domande, rivolgendole al Procuratore nella lettera con la quale si apre, e idealmente si conclude, questo romanzo.


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