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Recensione: "Parole sulla sabbia" di Ellen Block

Creato il 29 agosto 2011 da Lauragiussani
Titolo: Parole sulla sabbia
Autore: Ellen Block
Editore: Corbaccio
Data uscita: 25 agosto 2011
Pagine: 326
Prezzo: 16,60 euro
Isola, s.f., terra circondata dall’acqua. Abigail abbandona Boston e il suo lavoro di compilatrice di dizionari per fuggire dalla terribile tragedia che l’ha colpita, dal ricordo della famiglia che ha perduto.Faro, s.m. torre dotata di una forte luce per guidare i naviganti di notte. Abigail affitta un faro a Chapel Island al largo del North Carolina dove il marito trascorreva le estati da bambino. In realtà è un rudere dove accadono cose misteriose.Estraneità, s.f., mancanza di rapporto con le cose o con le persone. La piccola e stravagante comunità di Chaple Island accoglie la nuova presenza dapprima con sospetto e malcelata ostilità.Parola, s.f., facoltà di parlare e farsi comprendere. Ma a mano a mano che il tempo passa, gli abitanti di Chapel Island  si affezionano ad Abigail e le raccontano le proprie storie.Fortuna, s.f., la forza che opera per il bene o per il male nella vita di una persona, modellando gli avvenimenti, le circostanze, le opportunità. Arrivata da turista, forse Abigail riuscirà a sentirsi parte di una comunità che la accetta aiutandola a guarire dal proprio dolore…

RECENSIONE: Un passato misterioso avvolto nel silenzio, un luogo magico che evoca ricordi. Una donna che riscrive la parola speranza...(Attenzione: spoiler!)

A dispetto di una copertina tutto sommato ordinaria, “Parole sulla sabbia” si rivela essere un romanzo davvero insolito e affascinante. A colpirmi – settimane fa – è stata la trama, non tanto nel contenuto quanto nella forma. La scheda del libro diffusa a inizio mese dalla casa editrice riportava infatti una sinossi alquanto bizzarra, costituita da cinque parole con le relative definizioni, così come vengono generalmente riportate sul vocabolario. Ed è proprio lì, tra quei cinque vocaboli – isola, faro, estraneità, parola e fortuna – che s’intravede la storia di Abigail. Una giovane donna sulla trentina devastata da un lutto recente e provata da un lungo ricovero in ospedale. Un banale cortocircuito del forno nuovo e l’intera casa di Abigail si trasforma rapidamente in cenere, mentre le fiamme voraci strappano alla vita sia il marito Paul che il loro figlioletto di quattro anni, Justin.
Dimessa dall’ospedale, Abigail non ha più una vita, una casa o una famiglia da cui tornare. Cerca di sopravvivere al dolore voltando pagina e allontanandosi da quei luoghi insopportabilmente cari e saturi di ricordi. Non potendo prendere le distanze su una scala temporale, facendo scorrere minuti, giorni e mesi più alla svelta, l’unica alternativa che le rimane è quella della distanza geografica. Ed è così che arriva a Chapel Isle, briciola di terra emersa vicino alle coste del North Carolina, per diventare il nuovo custode del faro. Peccato che, una volta arrivata, debba fare i conti l’amara verità: la casa che ha affittato per un anno è in realtà una catapecchia e gli isolani non l’accolgono propriamente a braccia aperte. Queste sono grosso modo le premesse del racconto.
Ma Ellen Block non si limita a “raccontare” una storia, no. Forte di uno stile unico e accurato, incanta il lettore rendendolo desideroso di leggere ancora e ancora, pagina dopo pagina, verso un epilogo che sembrerà arrivare troppo alla svelta. L’autrice vanta infatti la rara capacità di rendere la lettura ricca e scorrevole al tempo stesso. In particolare, sono le singole parole che la fanno da padrone. Aggettivi e sostantivi insoliti – ma insolitamente appropriati - che vanno ad impreziosire la narrazione al pari di dettagli ricercati.
Non fraintendetemi, non si tratta di uno sfoggio di cultura, tra voli pindarici e paroloni altisonanti che sembrano voler sbandierare una colazione a base di dizionario della lingua italiana. Niente affatto. Se al mondo esistono tante parole è perché ognuna di loro ha un preciso significato. A differenza di molti altri scrittori che, gira e rigira, imbastiscono i propri romanzi utilizzando la solita manciata di parole – lasciando i lettori basiti di fronte alle mille ripetizioni – Ellen Block sembra rifiutare i soliti confini, abbracciando un universo di vocaboli esistenti e pronti all’uso ma che – per qualche oscura ragione – troppo spesso vengono snobbati. Attribuisce ad ogni cosa e sensazione il giusto nome, insomma, e lo fa con una cura che traspare davvero dalle pagine del romanzo.
La protagonista, nemmeno a farlo apposta, rispecchia tutto questo. Abigail è una lessicografa, il suo lavoro consiste nel compilare i dizionari. E’ innamorata persa delle parole, della loro etimologia, del loro suono e della loro resistenza. Le coccola, le invidia, le accarezza, ci gioca insieme. Sono il suo punto di riferimento, la logica nella quale trova all’occorrenza rifugio, quella stessa logica fatta di regole chiare e precise, che non riservano brutte sorprese o variabili incognite.
L’arrivo sull’isola non è dei più felici. La casa è sporca e malandata, praticamente una topaia abbandonata. Il faro è ormai in disuso e, come se non bastasse, girano voci sulla presenza del fantasma del vecchio guardiano, morto ormai diversi decenni prima.
Il lettore impara a conoscere Abigail poco alla volta, seguendo i suoi pensieri, le sue abitudini, i dubbi e le paure. Abigail parla spesso da sola, a voce alta, anche quando nessuno tranne lei può sentirla. E se è particolarmente turbata o agitata (come quando deve accendere il forno o il fuoco nel camino, che per lei equivale a rivivere l’incendio in cui ha perso praticamente tutto) si mette a coniugare i verbi latini. Insieme a lei, il lettore ha poi modo di conoscere gli altri personaggi, vale a dire alcuni abitanti dell’isola: dalla cara Ruth a Merle, gentile e saggio, dall’odiosa Janine al vecchio Bertrand, decisamente singolare, dalla svalvolata ma tenace Lottie a Nat, uomo difficile e scontroso. E poi Hank, che affoga il dolore nell’alcol, e Caleb, uomo di legge con una situazione famigliare difficile. Personaggi diversi e inconfondibili, tratteggiati con cura e senza alcuna esasperazione. Particolari, in certi casi, ma comunque altamente credibili.
E, via via che i giorni e le settimane passano, Abigail si trasforma in Abby (così l’hanno soprannominata sull’isola): una donna che vive il suo lutto in segreto, dedicandosi nel frattempo a qualsiasi cosa possa distogliere – anche solo momentaneamente – la sua attenzione e i suoi pensieri da quell’unico, doloroso chiodo fisso. Imparerà a conoscere gli abitanti dell’isola, il loro modo di vivere e di rapportarsi gli uni con gli altri e - parallelamente – si rimboccherà le maniche e riporterà il cottage in cui vive all’antico splendore.
Non manca poi un pizzico di mistero: sull’isola, infatti, si susseguono una serie di furti notturni e alcuni degli isolani si faranno in quattro per scoprire l’identità del misterioso ladro. Come se non bastasse, Abby ha poi un altro problema da affrontare: il fantasma di Wesley Jasper… l’ex guardiano del faro, che, a detta di tutti, infesta faro e cottage e si altera parecchio se gli si manca di rispetto. Inizialmente restia a crederci, Abigail troverà in cantina i registri del vecchio guardiano, insieme a un ritaglio di giornale di ormai quasi un secolo prima, riguardante una nave affondata lì vicino. Col passare dei giorni le sue certezze vacilleranno sempre di più, impedendole di nascondersi in eterno in quel guscio fatto di regole e logica,e costringendola ad affrontare non solo il presente, ma soprattutto un futuro che – per quanto lei possa detestarlo - arriverà inevitabilmente. E’ il racconto di una lenta ripresa, dove il dolore comunque rimane, e tanto. Ma a quello si aggiunge un piccolo barlume di forza e di speranza, che a inizio libro la protagonista certo non possedeva.
Ho apprezzato molto la credibilità che permea il romanzo , questione del fantasma compresa. Il dolore che Abigail porta dentro di sé è reale, profondamente vissuto, e non si dissolve come per magia nel corso della storia. Molto bello anche il suo rapporto con Nat Rhone: lui è ruvido, sgarbato, spesso davvero “stronzo”, come lo definisce più volte la stessa Abby. Un personaggio interessante che tuttavia non coronerà il romanzo con la prevedibile storia romantica. Sarebbe troppo presto per Abby, troppo poco credibile. E così, l’autrice si limita a gettare le basi - ma solo quelle, nulla di più – per una bella amicizia. Considerato però che il romanzo ha un seguito, non escludo che - a tempo debito - la situazione possa comunque evolvere. Anzi, un po’ ci spero.
Il finale forse è un tantino affrettato, o forse semplicemente avrei voluto continuare a leggere per ore e ore ancora. Oltre alle descrizioni, davvero spettacolari, vivide e amorevolmente curate dall’autrice, l’altra cosa che più mi ha colpito è stata la capacità di evitare costantemente qualsiasi risvolto prevedibile.
Quattro stelline piene e forse un poco abbondanti per una lettura che ho praticamente divorato in due giorni, e che spero vedrà presto anche il seguito. Caldamente consigliato, senz'altro.
Per saperne di più su questo romanzo...- Mappalibro
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