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Torno su questa autrice di così facile ed affascinante lettura, un po’ per l’ambientazione dei suoi lavori, un po’ perché il periodo in cui scrive, guarda caso anche lei negli anni trenta, riguarda una fase della storia cinese poco conosciuta e per me molto interessante. Questo La madre, segue il tono e le storie della Buona terra, con la sua epica contadina, ma, mi pare, coglie aspetti più universalistici, tali per cui la Cina rimane molto sullo sfondo e il racconto potrebbe essere uguale se ambientato in molti altri luoghi, non per niente mi ricorda le storie nella Sicilia di Verga, con gli archetipi comuni della povertà, del legame del contadino alla terra e alla roba e della maledizione che relega la donna su un piano decisamente sottostante all’uomo, condannata ad una fatica morale e materiale senza uguali, accompagnata da una sorta di maledizione genetica a cui essa stessa sa di non potere sfuggire.
Perché come almanacca lei stessa, madre rusticana che passa attraverso le traversie della vita: ”Un bambino che sta per arrivare è fonte di gioia ma anche di preoccupazioni. Potrebbe nascere morto. Oppure deforme o cieco o scemo; o addirittura potrebbe essere una femmina”. In queste parole sta tutto il tema della Buck e il personaggio, la madre, allo stesso tempo sacrificio, dedizione, amore. La madre che va a cercare una moglie per il figlio nel villaggio vicino, in quanto là “ci sono molte ragazze, perché per tradizione non le ammazzano”. Reliquia di una civiltà morale che povertà, ignoranza e precarietà fisica sembrano sommergere. Sempre lirico e naturalistico il racconto si dipana attorno a questa figura centrale a cui tutti devono fare carico, mentre lontani, sullo sfondo, rumori di fatti nuovi e sconosciuti, talmente diversi da un mondo uguale a sé stesso da millenni, incombono con la loro rude spietatezza.
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