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Recensione: Requiem, di Lauren Oliver

Creato il 27 gennaio 2014 da Mik_94
Chi salta può cadere, ma potrebbe anche volare. Abbattete i muri.
Recensione: Requiem, di Lauren Oliver Titolo: Requiem Autrice: Lauren Oliver Editore: Piemme “Freeway” Numero di pagine: 336 Prezzo: € 17,00 Sinossi: Mi chiamo Lena e sono infetta, perché mi sono innamorata di Alex in un mondo in cui l'amore è considerato una malattia, e come una malattia viene curato. lo e Alex siamo scappati, ma poi ci hanno separati. Io sono andata avanti, ho incontrato Raven e gli altri ragazzi della Resistenza. Ho imparato a combattere per quello in cui credo, a lottare per essere davvero me stessa. E ho incontrato Julian che è il ragazzo più dolce del mondo e mi vuole con sé. Poi però Alex è tornato, quando pensavo di averlo dimenticato, quando mi ero convinta di riuscire a fare a meno di lui. E ora, mentre il mondo attorno a noi cade a pezzi, io sto male, e penso che forse avevano ragione loro: l'amore è davvero una malattia!                                                   La recensione Recensione: Requiem, di Lauren Oliver L'ultima domenica di gennaio l'ho trascorsa in compagnia dell'ultimo volume di una trilogia che ho amato tanto, e a lungo. Per due anni, o qualcosina di più. C'era una certa simmetria, in quella giornata di pioggia senza fine e lampi lontani. O almeno, la scorgevo io, sui vetri rigati dall'acqua e tra pagine che scorrevano lentamente, come quella pioggia tardiva nelle grondaie. Ma a me, in realtà, piace ricercare sempre piccole simmetrie, ovunque: solo così mi sembra che per tutto ci sia un disegno superiore; solo così mi illudo di riuscire a trovare un posto nel mondo tutto per me. Ho avuto Delirium, in libreria, per mesi. Ho aspettato che arrivasse il momento giusto, ho aspetto l'avvicinarsi del mio diciottesimo compleanno; poi l'ho letto. Sulla Oliver – un'autrice che non conoscevo, ma che avrei imparato ad amare e odiare a giorni alterni - era ricaduto l'importante compito di scortarmi in un'irripetibile fase di passaggio. Era diventata, così, la mia madrina: testimone silenziosa dei preparativi di una festa tra amici che mi aveva inutilmente logorato i nervi e prosciugato le forze; mia personale traghettatrice verso le ultime spiagge dell'adolescenza. Pensavo, allora, che tutto sarebbe cambiato e che del vecchio me non sarebbe rimasta che l'ombra di un tempo. Pensavo, allora, che sarei diventato grande in un colpo solo. Dovevo fare diciott'anni, ma quelli, paradossalmente, erano i pensieri di un bambino piccolo. I grandi, infatti, lo sanno bene: sanno che non si cambia mai per davvero. In quell'aprile di dubbi e ansie, l'ho iniziato a sospettare per la prima volta. Nel marzo dell'anno successivo, galeotto il Chaos più affascinante che si potesse immaginare, l'ho saputo con certezza. Io ero rimasto lo stesso, e la stessa era rimasta Lauren Oliver: una dolorosa, superba garanzia. Per conoscere la fine della sua distopia, ho dovuto aspettare meno del previsto: il nuovo anno mi aveva portato l'ultimo capitolo sul palmo della mano, generosamente in anticipo. Le campane da poco avevano rinunciato a svegliare tutti con l'allegria, spesso fastidiosa, dei canti natalizi, e ora era tempo di Requiem. Il titolo non diceva niente. Il titolo diceva tutto. Bisognava stringersi nei banchi di legno gelido e prestare attenzione all'ultima liturgia: i toni funesti, fatali e luttuosi di una messa funebre. Ero pronto al peggio, aspettavo il meglio. Ho trovato una Oliver altra, diversa da come l'avevo lasciata. Forse un po' stanca, perfino. La sua voce spaccata in due, come davanti a un bivio impossibile da aggirare: un sentiero verso l'inferno, un altro verso il paradiso. Ma come riconoscerli, come distinguerli? Nessun angelo a indicare il cammino corretto, sotto la fulgida luce della provvidenza. Nessun diavolo visibile da cui fuggire a gambe levate, saggiamente. Troviamo due punti di vista diversi e uno sguardo nuovo sul contagio.  Recensione: Requiem, di Lauren Oliver Hana Tate – la migliore amica di Lena - è salva, è imperturbabile, è lontana: i ricordi della sua ultima estate di libertà a Portland e l'orribile rimorso di un segreto che non riesce a confessare nemmeno a sé stessa fanno capolino appena, tra le nebbie della sua mente tirata perfettamente a lucido, come fosse un'altra delle superfici immacolate e bellissime della sua futura villa. Quella Hana che si deve sposare, che ha subito la procedura, che sorride a comando, ma che – pur nelle fila dei Curati – appare più viva e umana della protagonista stessa, per la maggior parte del tempo. Risulta, infatti, più intrigante la sua voce che quella di Lena che, dopo due libri, è familiarissima, ma anche un po' noiosa. Come se non avesse più nulla da dirci su sé stessa. Nel punto di vista della protagonista di sempre, poca introspezione: racconta le sue esperienze in prima persona, ma con monotonia, descrizioni oggettive e fredde, senza lirismo di nessun tipo. Sembra una narratrice esterna - nel modo in cui descrive assedi e spedizioni, fughe e scontri; nel modo in cui parla troppo degli altri e raramente di sé. Non c'è il suo solito io, forte, egoista, assoluto. E' rigida, schematica, meccanica, confusa e, stranamente, risuona più robotica la sua voce che quella della sua amica così lontana. C'è più metodo, in Hana. Più ordine. Lena è un proliferare di sensazioni opposte, fastidiose. L'altra protagonista, invece, tra stanze vuote e segreti inquietanti, si trova a vivere nella più pericolosa delle favole - quella di Barbablù – e in una casa in cui, come nel capolavoro di Daphne du Maurier, aleggia l'ombra di una prima moglie, messa misteriosamente a tacere. Dovrebbe essere un'automa, ma ha sentimenti che la cicatrice della procedura non ha annullato: nel suo petto, il suo cuore continua a pulsare forte, anche se – con i suoi battiti – rischia di mettere in allerta orecchie sospettose. Recensione: Requiem, di Lauren Oliver Lei è l'omino di latta di Oz in abito nuziale, è impeccabile. Lena, invece, vive nelle Terre Selvagge, in un luoghi sporchi e desolati in cui sopravvivere è una lotta continua contro la fame. Quegli scenari sembrano saccheggiati dalla realtà, dai campi rom, dai barconi della speranza. Ciò che è selvaggio non è allettante, ma difficile. Perché la libertà ad ogni costo è anche quello. E Lena lo pensa, mentre anche noi ce lo chiediamo sottovoce... E se l'amore fosse davvero una malattia. E se fossero più zombie quei manipoli di ribelli – sfollati come terremotati, senza aiuti e senza più speranze – che i curati, coi loro completi puliti e i loro sorrisi cordiali da pubblicità? Insieme all'amore, una semplice e ordinaria operazione potrebbe rimuovere l'odio, la gelosia, il dolore. La capacità di fare del male, la capacità di farsi del male. La Oliver, in tre libri, parla di tre lati di uno stesso cuore – anche di quelli nascosti nel conforto dell'ombra. Nel caso di Requiem, coerentemente, parla anche dei più brutti. Lena si è innamorata di Alex: il suo primo, grande amore è stato un dolce tormento. Poi ha corso, ha sofferto, ha urlato, ha combattuto il dolore insieme al delicato Julian, mentre tutto sembrava perduto. Il passato, quando pensava di averlo sepolto, è ritornato per lei: si è sollevato da terra, nel sangue e nella sabbia, e ha percorso chilometri e chilometri per raggiungerla, pensando di trovare sollievo a tutta quella sofferenza tra le braccia di una ragazza che, ormai, si era messa l'anima in pace. In questo terzo romanzo si parla di Lena e della sua scelta; di un inevitiabile triangolo sentimentale che, per quanto intelligente, l'autrice non ha saputo o potuto aggirare. Requiem non mi ha addolorato, non mi ha intontito: non mi è piaciuto al pari dei precedenti volumi. Non è mai un peso, scorre alla perfezione, ma esattamente che dice per 200 pagine e oltre? La Oliver, come la Roth in Insurgent, intrattiene non dicendo niente, argomentando sul nulla - sarà che vogliamo un bene dell'anima ai suoi protagonisti, sarà che la sua trilogia ha rappresentato tanto per tanti, sarà che è brava e che il suo talento è lampante da sempre.  Recensione: Requiem, di Lauren Oliver Mi è sembrato, tuttavia, che non sapesse come farlo finire: non sapeva cosa fare di Lena e del suo mondo matto. La sua prosa è scorrevole, elegante, ma tra le righe – questa volta – ho percepito una certa difficoltà, fastidiosa come un ospite sgradito. I suoi personaggi, due libri fa, le avevano detto ciao. Quello era un addio definitivo. La conclusione, invece, così definitiva non lo è. Lo sciogliemento non è studiato con la consueta lucidità che, spesso, ho scambiato per sadismo gratuito. Non c'è premeditazione, non c'è un piano. Giungere a quella fine è un colpo di stato, una presa di forza: si prende un martello, un bastone, un osso e si distrugge quello che non va. Con furia, rabbia, qualche sorriso di speranza. Lei distrugge, insieme ai suoi personaggi, tutte le sovrastrutture che ha creato, abbatte ogni relazione e intreccio, spiana a forza l'eccessivo, il superfluo, l'aggiunto. Non si crea mai una perfetta livellatura, ci sono crepe e spuntoni, i segni forti di una violenza, eppure sembra giusto così. Anche perfetto. Per tutta la lettura, sono andato in cerca di un'immagine che mi rimanesse impressa: in Delirium, la parola Amore tappezzava le pareti di roccia, la “o” diventava la bocca di un tunnel verso la libertà; in Chaos si iniziava con una corsa cieca verso l'ignoto, passo dopo passo, e con la costruzione di una torre, altissima, d'indifferenza e gelo. Per tutta la lettura, mi sono chiesto di questo cosa avrei ricordato. L'illuminazione è arrivata all'ultimo capitolo, il colpo di scena è giunto all'ultima pagina: avrei ricordato quelle parole, tenuto a mente quella scena. Quei passi che, tanto belli, valevano più di un intero libro, purtroppo, deludente. L'epilogo, vago e universale, è quello di una fiaba. Fa di Requiem una parabola. Peccato per le parole di troppo, per le pagine in più, per alcune dinamiche senza importanza alcuna. Lauren viene a tirare le fila, a sciogliere tutti i nodi, a salvarci da quella collana di perle e parole che poteva stringerci la gola fino alla morte. Parla Lena, ma io so che era lei. Era il suo congedo, il suo chiederci perdono per tutto, prima di dirci – alla pagina successiva – grazie per esserci stati. La dea Lauren Oliver – che a lungo ha giocato con la vita e la morte dei suoi figli – si scopre meno memorabile e, nel bene e nel male, più clemente. Una Oliver imperfetta, dunque, ma comunque da leggere: non sarebbe giusto, infatti, lasciare Lena, Hana, Alex e Julian sospesi per l'eternità. Avevano bisogno di un finale che fosse loro. L'autrice che ha frantumato milioni di cuori, infine, sceglie di frantumare barriere. E invita i suoi lettori a fare altrettanto, nell'ultima pagina. Un'ultima pagina da fotografare, da incorniciare, da ricordare, insieme all'imagine di una sposa che va chissà dove e di un ultimo, sfuggente bacio tra le macerie. Intorno a me, a fine lettura, mucchi di libri come mattoni divelti: ho scavato un buco tra i dorsi dei volumi più disparati, affinché Requiem potesse unirsi agli altri lavori della sua creatrice. Ora ha il suo posto. Li vedo tutti insieme, lì, e capisco che un'altra cosa ha avuto fine, nella mia vita. Una fine che, per Lena, è un altro inizio. Il mio voto: ★★★ Il mio consiglio musicale: Jovanotti – Tutto l'amore che ho 

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