Lettori e lettrici, mettetevi comodi! Sedetevi sulla vostra sedia preferita, buttatevi sul letto, spaparanzatevi sul divano e preparatevi a leggere questa recensione, perché era da diversi mesi che non avevo la possibilità di demolire un libro come farò oggi! Eh sì, perché purtroppo Rossa di Maddalena Rinaldo si è rivelata una lettura davvero pessima, tanto da farmi agognare di arrivare alla fine per terminare l' agonia della lettura. Mi dispiace per l'autrice, che è stata così gentile da inviarmi una copia del suo romanzo per avere un mio parere - sul serio, non è una frase di circostanza, essendo anche io un'autrice so quanto possa dispiacere ricevere una recensione così negativa - ma c'è un limite a quello che posso sopportare di leggere.
Quindi...ai posti, partenza, via!
AUTORE: Maddalena Rinaldo
PREZZO DI COPERTINA : 4.99€ eBook
CASA EDITRICE : Indies g&a
GENERE: Narrativa contemporanea
Da dove cominciare? Questo libro mi ha fornito così tanto materiale su cui discutere che potrei scriverci un intero saggio. Come potete vedere dalla trama, parrebbe che Rossa sia un libro molto profondo, che tratta il tema delicato di un'adolescente che scopre, alla tenera età di 15 anni, di essere malata di tumore. Parrebbe anche che la protagonista - di cui, tra l'altro, al lettore non è concesso il lusso di sapere il nome - viva un periodo particolare della sua vita, tumore e chemioterapia a parte, che la porterà ad "allearsi" con il suo cancro. Ma indovinate un po'? Come già altre volte mi è accaduto, di tutto questo nel libro c'è ben poco. Non dico che non ce ne sia traccia, ma credo, ahimè, che l'autrice non sia riuscita nel suo intento di descrivere e trasmettere al lettore quelle emozioni che aveva in mente. O, per lo meno, non ci è riuscita con me.
La protagonista anonima
La protagonista, le sue tette, la sua "vagina calva" e il pene "consumato e appassito" del suo nuovo primo fidanzato
La protagonista anonima è una quindicenne di una immaturità preoccupante. Con pensieri tanto stupidi e superficiali, e non posso scrivere nemmeno "a volte", ma purtroppo nella maggior parte dei casi, che me l'hanno fatta odiare dal profondo. Ho pensato di abbandonare il libro a pagina 20, perché giuro che già arrivata a questo punto facevo fatica ad andare avanti, e un paragrafo sì e l'altro pure mi cadevano le braccia per quello che la protagonista faceva o pensava. Pensava, sì, perchè il romanzo non è altro che una sorta di diario della suddetta quindicenne, e quindi il lettore si trova immerso nei suoi pensieri dall'inizio alla fine.
Dicevo, quindi, una bambina immatura e assolutamente ossessionata dall'idea del sesso. Non c'è un altro modo per dirlo. La sua preoccupazione principale non è quella di morire di cancro, perchè "ha quindici anni si è immortali" (come no...), ma quella di perdere i suoi ... peli. E no, non intendo solo i capelli. La perdita dei suoi capelli rossi è un trauma, come penso lo sia per chiunque si trovi ad affrontare una situazione del genere, ma lei è preoccupata soprattutto di perdere i peli della sua ... vagina. Non avete letto male, nel libro si dice chiaro e tondo proprio questo. Vorrei fare, a questo proposito, un piccolo inciso di anatomia: la vagina peli, perchè è un qualcosa di interno, ma semmai è la vulva, il pube, monte di Venere o come cavolo lo volete chiamare che presenta della peluria. Se una donna avesse dei peli proprio nel succitato posto, ecco, probabilmente avrebbe problemi più gravi di un tumore. Per maggiori approfondimenti su questo aspetto, comunque, potete leggere il paragrafo seguente.
Non oso immaginare che idea vi stiate facendo di me, soprattutto se non avete mai letto altre mie recensioni prima di questa, ma credetemi che questo è un titolo assolutamente azzeccato per l'aspetto del libro di cui voglio parlare.
Come vi dicevo sopra, la nostra quindicenne è a dir poco ossessionata dal sesso. Oltre a questo, ha la fissa delle sue tette. Siccome è troppo faticoso trovare un sinonimo tipo "seno", "petto" e simili, il lettore si deve sorbire un numero infinito di volte questa parola, condita da vari aggettivi che, per amor di stroncatura, vi voglio riportare (almeno in minima parte, segnarmi tutte le espressioni in cui compariva questo nome sarebbe stato impossibile). Dunque, le tette della protagonista vengono definite "giganti e pazzesche", "seni (ecco forse l'unico sinonimo) grossi come otri" ...
"opulenti seni accaldati" e insomma, ci siamo capiti. Il tutto tenendo conto che questa ha una 38 di taglia. Ricapitolando, quindici anni, una quinta/sesta/infinita taglia di reggiseno e un vitino da vespina.
Ecco coma lei si descrive nel suo "diario":
Una testa calva, una vagina sterminata e un porter sempre in prima fila [...] Sono ancora vacca da macello, serrata in fila, diatro ad altri manzi ruminanti e poco interessati a porsi domande [...]
Alias, un mostro! Provate a guardarle, le vere quindicenni, e poi ditemi quante ne vedete che possono essere così!
Poi c'è la sua vagina. E qui, davvero, si apre tutto un mondo che forse era meglio rimanesse ben chiuso. Ovviamente, l'unico sinonimo che viene utilizzato è figa, nel rispetto dei toni "aspri, brutali e realistici" che vogliono caratterizzare il romanzo. La nostra quindicenne è terrorizzata dalla perdita dei suoi peli di pube, perchè le sembra di recedere "da donna fatta quale era - perchè a quindici anni non si è adolescenti, si è già donne in grado di generare e quindi non c'è nient'altro da dire - a una bambina innocente". Insomma, maledizione alla chemioterapia che vanifica tutti gli sforzi che i suoi pori piliferi hanno fatto per colorare un po' la zona tra le sue gambe! Una zona che si presta a diventare protagonista di pensieri come "vagina calva", "vagina matura e calda", "se solo avessi i peli sulla vagina", "vagina mortificata", "vagina sterminata", e un numero infinito di "vagina calva". Il rapporto che ha questa ragazza con questa zona intima è a dir poco inquietante: ne è ossessionata, a tal punto che, durante la chemioterapia, quando le viene portata una compagna di stanza celata dietro a una tenda divisoria, lei che fa? Vi rispondo riportando il passo del libro in questione:
[...] Non so niente di lei. Ama i fiori? Preferisce musciva da camera o il free jazz? E' mai stata in Costa d'Avorio? Conosco solo la sua voce e i suoi vagiti.
Penso alla sua vagina, la immagino riccia e folta. Lei non è stata punita, lei la sua femminilità ce l'ha ancora e se la tiene stretta.
E' un'ossessione bella e buona, che a volte assume anche sfumature che non so se definire tenere o patetiche, del tipo che la sua *non serve ripeterlo un'altra volta* è come un uccellino che si stava affacciando al mondo o una metafora simile, che non mi sono segnata perchè altrimenti avrei dovuto riportarvi tutto il libro. Per intenderci, questa con la sua zona intima intesse quasi dei veri e propri dialoghi.
Poi c'è il suo nuovo primo fidanzato, che è "il suo amante perverso", "il suo pedofilo fedele" (ha solo due anni più di lei eh). Neanche di lui ci è concesso sapere il nome, non ne abbiamo nemmeno una descrizione sommaria. Il lettore brancola nel buio, e l'unica parte del suo corpo che può ahimè figurarsi è proprio quella tra le sue gambe. Anche qui, la quindicenne protagonista è molto preoccupata, perchè teme che a causa della sua malattia il suo ragazzo possa andare a sfogare le sue tempeste ormonali con qualche altra ragazza. Ma per fortuna, il pensiero di lui e del suo amore organo riproduttore maschile la consola durante le dure sedute di chemioterapia. E dunque... una volta, in preda al delirio, si immagina che tale ragazzo venga a trovarla e poi si rintani dietro la tenda della sala per fare un po' di cose sconce con sua madre, il tutto con lei presente e sofferente, ma nella maggior parte dei casi se lo immagina intento a soddisfare da solo e con le proprie mani quei bisogni fisiologici che lei, dannata chemioterapia e dannate vacanze estive, non è nelle condizioni di soddifare. Voglio riportarvi a questo proposito un brano, che ritengo molto significativo.
Domattina il mio nuovo primo fidanzato partirà per il mare. Vacanza con gli amici. Lui e altri due. Campeggio, sole, salsedine e diciassette anni. Mentre a casa c'è la vacca che lo aspetta e lo desidera nascosta nel bianco del suo capezzale. Il nostro è un amore vero, pulito. Ha detto che mi ama, ma quanto ci si può sentire legati a una giovenca il cui sigillo di appartenenza è evidente e lampante sul suo petto adolescente? Quanto riescono ad essere infidi una spiaggia, una luna e il testosterone iperprodotto?
Ma da brava bestia da allevamento rimarrò qui, a pensare a lui, al suo corpo salato e abbronzato che amerà sfogare le trepidazioni ormonali masturbandosi violentemente e assiduamente immaginando la mia bianca e liscia testa pelata.
Non mi tradirai, spero. Dici di amarmi, onora le tue parole. Non provare compassione, ma non fare niente di ciò che non vorresti farei io, fossi tu quello pelato, bianco e puzzolente di vomito. Vuoi un mio reggiseno da portare via? Posso nascoderti in valigia un paio di mutandine usate. O se proprio non riesci ad accontentarti, posso fotografare la mia vagina. Chiedimi tutto e ti sarà dato.
Umidità e calore, esalazioni corporali, la mia stanza ribolle di acidità e asprezza. Non ho avuto paura di niente, ho amato come soltanto una quindicenne può amare, mi sono spinta oltre i limiti della mia pudicizia e mi sono lasciata prendere, con il desiderio di provare dolore e sofferenza per convertirli in piacere brutale. Voglio lasciarti con il ricordo di ciò che sono capace di farti, voglio vederti tornare col pene consumato dalle tue dita serrate. Voglio saperti chiuso nella tenda di un campeggio estivo a raccontare ossessivamente ai tuoi amici la storia di questa giornata.
Sono sadica, e voglio aggiungere che lo squallore non si ferma qui - dopotutto, siamo solo a pagina 20 su 117 - per cui troviamo anche: (durante una seduta di chemioterapia) "pene consumato e appassito", "Fortuna che nella sua tenda chiusa in riva al mare, annaspando in 45° gradi di umidità, c'è il mio nuovo primo fidanzato. Ormai completamente disidratato, col pene essiccato tra le mani e un sorriso compiaciuto, perché davanti agli occhi ha solo le mie due grosse tette grasse".
Credo di aver sufficientemente spiegato il motivo per cui questo paragrafo ha questo titolo così volgare.
La protagonista, il suo nuovo primo fidanzato e il tanto agognato sesso
Che la protagonista abbia il chiodo fisso del sesso è fuori discussione. Non c'è dimostrazione del contrario che tenga. Vi basti pensare che, camminando per strada, che le capiti di vedere un uomo e una donna, due uomini o due donne, la sua mente le propone subito l'immagine di questi/e due che copulano: "Vedo le persone che copulano, più precisamente le vedo nell'atto stesso di venire. Più lui e solo secondariamente lei". Per questa volta vi risparmio il resto del testo.Ovvio che la nostra malata non vede l'ora di consumare la prima relazione intima con il suo nuovo primo fidanzato. Ecco come esplicita la decisione di intraprendere la sua prima volta:
Ventiquattrore e finalmente ci rivedremo. Zaino in spalla, sabbia tra le dita dei piedi, tornerà abbronzato e dimagrito. Ci abbracceremo, ci baceremo e ci ameremo per tutta la sera. Per l'occasione, mia mamma esce con le sue amiche, o magari con i suoi amici. Mi è irrilevante. Dopotutto siamo in un girone in cui tutto è permesso. Se posso vomitare, pisciare urina rossa, scollarmi strati epiteliali e defecare sangue tutte le rare volte in cui riesco a svuotare l'intestino, posso farmi penetrare dal mio primo nuovo fidanzato ovunque io ne abbia desiderio e mia madre può andare a trastullarsi con chiunque desideri.
Qui giace il Sig. Romanticismo. Ha raggiunto il suo caro congiunto Decoro.
Ma troviamo qualche pagina dopo, a seguito dell'avvenuta consumazione:
La protagonista e la malattiaNon ricordo niente di questa notte trascorsa. Non ho memoria delle parole dette né dell'amore provato. Non ricordo se fossi felice, non so neppure con chi fossi. Ho solo una cicatrice nel letto, memento di una femminilità che mi osserva da lontano, scuotendo la testa, masticando delusione. [...] Ti odio schifoso bastardo. Voglio il tuo cadavere lasciato a marcire fuori dalla mia porta. Ti sei preso ciò che non ti spettava, hai rubato il sigillo della mia infanzia, e con esso i ricordi, le emozioni e le persone che amavo.
Ma vi faccio notare che fino a poche pagine prima era disposta a "farsi penetrare ovunque ne avesse desiderio". Come dicevo all'inizio... una bambina immatura che non ha idea di che cosa significhi essere donna, nè tanto meno amare. A proposito, ve lo ricordate il loro "amore puro"? Provate a chiamare "Chi la visto" e forse scopriremo qualcosa di che fine ha fatto così, di punto in bianco, anzi di punto in rosso, per rimanere in tema.
La RossaFin qui, ho parlato sostanzialmente della perversione delle fantasticherie erotiche della nostra malata quindicenne. Ma, ovviamente, c'è anche e soprattutto(?) il problema del suo cancro e delle terapie che deve affrontare.
Sentendosi marchiata come "vacca" e "giovenca", per il solo fatto di dover portare il porter, manco fosse destinata al macello, la protagonista deve sottoporsi a chemioterapia e radioterapia, con tutte le conseguenze che queste cure comportano.
Anche il rapporto che lei intesse con il suo cancro è a dir poco singolare: è il suo "bambino", un qualcosa che cresce con lei dalla nascita, che nessuno ha il diritto di estirpare dal suo corpo senza chiedere il suo permesso. E' come un piccolo feto che le cresce sotto l'ascella anzichè nell'utero. L'unica differenza tra i due, come riflette lei stessa, è che uno viene asportato con la forza in sala operatoria, l'altro viene espulso attraverso la sempre centrale nei suoi pensieri vagina. Tutto qui, no? Non conta il fatto che uno potrebbe portarti alla morte. Tanto, che vuoi, il tumore è cascato male, ha beccato l'unica immortale sulla terra.
Davvero, quando parlava di immortalità non sapevo se facesse sul serio o fosse soltanto un estremo tentativo di convincersi che tutto sarebbe andato per il verso giusto, e che il tumore non l'avrebbe portata via a quindici anni.
Non posso negare che l'autrice, almeno su questo, si sia informata: il funzionamento delle cure è spiegato in modo abbastanza dettagliato, e anzi ho scoperto molti aspetti che non conoscevo, peccato però che i pensieri scostanti della malata siano così salterellanti e molto spesso confusionari che in alcuni punti si capisce ben poco di che cosa stia realmente succedendo e quale parte della terapia lei stia affrontando. I sintomi vengono descritti, ma non ho davvero apprezzato il punto di vista che la protagonista adotta per descriverli.
C'è poco da fare: si parla tanto di "tette" e "peni" che il problema del cancro sembra passare quasi in secondo piano, e per quanto riguarda la mia personale impressione sulla lettura il cancro passa decisamente in secondo piano. Non sono riuscita a concentrarmi su quello che avrebbe dovuto essere l'aspetto più rilevante del romanzo, perchè continuamente e perennemente distratta da un "tette", da un "pene", da una "vagina".
Tralasciando il fatto che appena ho sentito il titolo e letto la trama ho subito pensato a Bianca come il latte rossa come il sangue, questa "Rossa", che non vi svelo cos'è perché forse è l'unico aspetto quasi quasi apprezzabile, ma proprio quasi, del romanzo, è tutt'altro rispetto a quello che un lettore potrebbe pensare. Ed è attorno a questa Rossa che la protagonista intesse le sue riflessioni, talvolta sconclusionate, sulla sua malattia e sulla sua lotta personale.
Beh, non si è ancora capito? Bocciato su tutta la linea, senza possibilità di appello! Non è nemmeno lontanamente simile o paragonabile a quello che mi aspettavo di trovare dopo aver letto la presentazione. Non è un libro sul tumore, è un libro sull'immaturità e l'ossessione erotica di una quindicenne, e la cosa peggiore è che purtroppo credo che molti pensieri di questa protagonista siano condivisi da molte altre ragazze della sua età, come se a quindici anni la preoccupazione maggiore fosse quella di perdere la verginità! Ribadisco il concetto, ho pensato di abbandonarlo a pagina 20 e andare avanti con la lettura è stata un'agonia, un continuo sbuffare e prendere appunti per la recensione, un continuo chiedersi Ma stiamo scherzando? L'ho trovato più esplicito di un romanzo erotico e secondo il mio parere in alcuni punti anche gravemente irrispettoso verso chi deve affrontare situazioni simili. Non so se l'autrice ha vissuto sulla propria pelle l'esperienza che descrive, ma c'è modo e modo di raccontare una vicissitudine di questo tipo, e credo che Maddalena Rinaldo abbia decisamente scelto il modo sbagliato. La scrittura voleva essere brutale? Perfetto, ma tra brutalità e volgarità c'è una certa differenza. La continua ripetizione dei concetti di cui vi ho largamente parlato sopra è stata estenuante e fuori luogo se l'obiettivo era quello di affrontare il dolore e la lotta di un'adolescente contro il cancro. Tra l'altro, il lettore non è stupido: scritta una cosa un paio di volte, non serve ripetergliela per le restanti 110 pagine. Insomma, un terzo del libro è dedicato ai peli persi e al luogo dove questi non ci sono più, mettetevi nei panni di qualcuno che si aspetta di leggere un qualcosa alla "Braccialetti rossi" o alla "Bianca come il latte rossa come il sangue" e potete capire la mia frustrazione e il mio scontento. Sono stata brusca in questa recensione, ne sono perfettamente consapevole, ma il libro non mi è piaciuto per niente. Ho solo due parole per descriverlo: volgare e squallido.