Titolo: Sentieri di Luce, sentieri d’Ombra
Autore: Flavio Graser
Editore: Narcissus Self Publishing
Genere: Thriller paranormale
ISBN: 9788863692839
Anno: 2011
Pagine: 500
Prezzo: 18,50€
Se mi conoscete per lo meno un po’ sapete due cose di me: che non sono fan dei libri autopubblicati e che, sebbene professi sempre che la storia ha molto più valore per me dello stile con cui è scritta (cosa di cui morirò convinto, peraltro), sono parecchio pignolo e i miei, per così dire, standard di accettabilità, sono parecchio elevati.
Sentieri di Luce, sentieri d’Ombra non l’ho scelto, era tra i tantissimi romanzi che Scrittevolmente riceve dagli editori e/o dagli autori per una recensione. Probabilmente, fosse dipeso solo da me, non l’avrei mai letto, perché la trama non è proprio quella che definirei “nelle mie corde”, però posso sempre ricredermi. Un secondo motivo è perché il romanzo in questione è autopubblicato. Bisogna precisare che Scrittevolmente non ha nulla contro l’autopubblicazione, e l’eminentissima ac reverendissima webmistress Queenseptienna ha auto pubblicato qualcosa come un fantagigabazingardo di storie zozze eloquenti parabole dell’umana natura aventi la forma di piccole gemme d’erotismo. Io invece sono un po’ più scettico al riguardo. Per quanto l’editoria italiana possa star messa male, per lo meno ha degli standard al di sotto dei quali un romanzo non viene considerato accettabile – a parte il Gruppo Albatros, ma sto parlando di editori, non di stampatori. Per quanto riguarda l’autopubblicazione non sono così sicuro che questi standard esistano, e se è vero che ogni tanto un’Amanda Hocking o un Isaac Marion fanno il salto di qualità all’editoria vera e propria, tanti altri romanzi rimangono dimenticati nel mare del self publishing. E di solito per un motivo.
Ho quindi dei bias. Ma visto che il libro me l’ha messo in mano Scrittevolmente, si tratta di lavoro e posso permettermi di sindacare ben poco. Si valuta il libro in sé, non il modo in cui è stato pubblicato, sempre ammesso che ciò sia possibile. Lo sarà? Non lo sarà? Riuscirà Ewan a superare la sua diffidenza nei confronti dei romanzi autopubblicati? O si scoprirà che, alla fin fine, ci aveva visto giusto? E soprattutto, perché Ewan parla di sé in terza persona? Scopritelo dopo il salto.
La trama
Siamo in Austria, Georg è uno studente che, per preparare la tesi di laurea, si trova nella biblioteca dell’abbazia di Melk quando si imbatte in un libro misterioso arrivato alla biblioteca grazie a un donatore anonimo e che sembra contenere molte profezie, una delle quali attira più delle altre la sua attenzione. Il giorno seguente, Georg scopre che non solo il libro è stato rubato, ma anche che fratello Wilhelm, un frate dell’abbazia, è stato ucciso in maniera brutale. E non è tutto: la polizia informa Georg che ci sono già stati due omicidi simili a quello del frate a Torino e New York.
Convinto che il libro scomparso dall’abbazia di Melk sia collegato agli altri omicidi, Georg, accompagnato dall’amica americana Christine, si reca a Torino per indagare. E mentre il misero del libro diventa sempre più intricato, Georg dovrà fare i conti anche con dei vividi sogni che lo tormentano quasi ogni notte e col passato misterioso – e dimenticato – di Christine.
Questa, a grandi linee la trama. Ora partiamo con le note dolenti. Per la prima metà, il libro è più o meno un classico thriller procedurale con il detective amatoriale al posto del poliziotto. E onestamente parlando non è un genere in cui l’autore è molto ferrato. C’è almeno un grave errore che, una volta che lo si individua, rende inverosimile tutta la storia. All’inizio delle indagini, Georg viene informato che la polizia austriaca sospetta che l’omicidio di fratello Wilhelm sia collegato ad altri due delitti avvenuti rispettivamente a Torino e New York. Ecco, questo non ha senso. Né cronologicamente – la polizia austriaca non ha il tempo materiale di collegare l’omicidio ai due precedenti, visto che ci viene detto che il cadavere è ancora sulla scena – né a livello procedurale: due cadaveri sono troppo pochi per connettere due omicidi e la polizia statunitense, che fa fatica a coordinarsi di stato in stato, di sicuro non andrà mai a collegare un delitto avvenuto a New York con uno simile avvenuto in un altro continente. Ma in qualche modo bisognava dare l’avvio alla trama, no? Sì, però questo più che un caso di sospensione dell’incredulità è un esempio di “chissenefrega, tanto è fantasy”. E ciò non va bene.
Va detto che nella seconda parte in poi il libro migliora, la storia si fa più interessante e, comunque, la questione dell’amnesia di Christine (per quanto il lettore se la trovi gettata addosso in maniera per lo meno indelicata) riesce a essere affascinante e a far venire voglia di andare avanti. Bisogna solo superare lo scoglio dell’implausibilità della trama iniziale… e quello dello stile.
Lo stile
Non me ne voglia l’autore, ma lo stile è veramente difficile da digerire. Inutilmente pomposo, aggettivazione strabordante, intere scene superflue e facilmente eliminabili: ogni due pagine mi veniva voglia di prendere la penna rossa e cancellare parole, frasi o interi paragrafi di troppo. Il fatto che stessi leggendo su ereader mi ha frenato.
Un tizio che di letteratura ne capisce, dall’alto dei suoi otto gigabazingardi di libri pubblicati, una volta ha detto che la seconda stesura di un romanzo equivale alla prima stesura meno il 20%. Ciò che a mio avviso manca a Sentieri di Luce, sentieri d’Ombra è proprio questo genere di trattamento. Altrimenti non si spiega perché, ad esempio, quando Georg e Christine arrivano a Roma, dobbiamo sorbirci due pagine di check-in in albergo.
E soprattutto non si spiega perché tutti parlano come dei libri stampati. Sul serio, ecco un esempio di dialogo:
«È stata una giornata fruttuosa, vero?», dice lei prendendo un pezzetto di pane.
«Eccome! Spero che questo D’Aniello a Roma ci possa aiutare… Devo dire che il fatto che probabilmente è ancora vivo mi è di conforto. Tra poco ci toccherà studiare la negromanzia per saperne qualcosa di più sul nostro misterioso libro!», replico io osservandole le unghie.
«Vedo che come molte ragazze ti prendi cura delle tue unghie, o sbaglio?», cambio argomento seguendo il filo dei miei pensieri.
«Dici?», replica lei perplessa guardandosele. «Guarda che sei in errore. Se c’è una cosa a cui non presto molta attenzione sono le unghie!»
«Ma scusa, quella specie di lunette bianche sui bordi, non le fai con smalti o altri intrugli tipicamente femminili? Te lo chiedo perché all’Università ho notato molte ragazze con le unghie così, pensavo fosse una moda.»
«Lo è infatti, ma Madre Natura è stata generosa con me: le mie sono così al naturale», risponde sorridendo maliziosamente. «Mi limito a non farle crescere troppo. Sono molto robuste: sintomo di una corporatura sana, suppongo.»
«È vero, da quel che ricordo non ti sei mai ammalata da quando ci conosciamo.»
«Da prima. È da almeno dieci anni che non prendo neppure un raffreddore!»
«Incredibile…»
«Sai cosa trovo incredibile? Che tu stia facendo il furbetto, caro il mio Georg Bohm.»
Si capisce a cosa mi riferisco, no? Passino le esclamative che escono dalle fottute pareti, passi che Christine ha la french manicure senza bisogno di usare smalti, passi che questa conversazione composta da dieci scambi di battute poteva benissimo essere ridotta a due eliminando la roba inutile, il problema principale è che nessuno sulla faccia della terra parla così. Sul serio, provate a recitare il dialogo qui sopra, fatelo.
I dialoghi suonano estremamente artificiosi e per niente genuini. Per contrasto, questo è un dialogo preso da I regni di Nashira di Licia Troisi, uno dei libri più atroci in commercio:
«Allora ti confido un segreto» disse Talitha facendosi seria. «Portami su i miei vestiti da cadetto. E il pugnale.»
«Cos’è, hai intenzione di ammazzarle tutte?» replicò Saiph. Ma il riso gli morì in gola di fronte all’espressione determinata di Talitha. «Stai dicendo sul serio?»
«Portami i miei vestiti e il mio pugnale.»
«Padrona, hai la vaga idea di quanto sia pericoloso quel che mi chiedi?»
«Tu fallo e basta» disse lei.
«Ma perché? A cosa ti serviranno lassù?» chiese Saiph sempre più preoccupato.
Talitha sospirò, e parve raccogliersi un istante in se stessa prima di rispondere. «A fuggire.»
Vedete? Per quanto stupido possa essere questo scambio di battute, suona comunque come qualcosa che due persone potrebbero dirsi nella vita vera (tralasciando la parte in cui il libro è ambientato in pianeta con penuria d’ossigeno in cui è pratica comune bruciare i morti), mentre in Sentieri sembra più che altro che i due protagonisti stiano leggendo le loro battute da un cartellone.
Ecco, ora che ho usato Licia Troisi come esempio virtuoso di scrittura, sento la necessità di fare una doccia.
In conclusione
Torniamo ai romanzi autopubblicati e al perché non credo nell’autopubblicazione come via alternativa alla pubblicazione tramite editore. Vale veramente la pena di spendere soldi (anche i 2,99€ dell’edizione digitale) per un romanzo senza editing e che contiene un plot hole grande come una casa che, di fatto, rende implausibile tutta la prima parte della storia? Secondo me no, per niente. Ma è proprio questo che il mercato del self publishing offre, nella stragrande maggioranza dei casi.
Potete dire quello che volete degli editori. Quelli in grado di fare bene il loro lavoro, e lo so per esperienza, sono veramente pochi. Però almeno fanno da filtro tra gli autori e i lettori – a volte male, e a volte evitando che romanzi scritti male e pensati peggio (non sto più parlando di Sentieri, questo è un discorso più generale, è meglio precisarlo) vadano ad affollare un mercato già di per sé saturo di schifezze e che lascia spesso e volentieri al suo esterno libri che, invece, varrebbe la pena di leggere.
Finché esisterà negli autori questa mentalità del “l’ho scritto, per cui merito che sia letto a ogni costo”, l’autopubblicazione non sarà mai una via alternativa alla pubblicazione tramite editore, ma soltanto una discarica di ciò che i vari editori hanno scartato – spesso e volentieri per un buon motivo, se si tratta di fantasy.
Ma basta divagare e torniamo al romanzo che stavo recensendo. Con Sentieri è tutta una questione di stile vs. storia. Se volete la storia, in questo libro c’è. Abbastanza. Se però trovate fastidioso uno stile ridondante, pomposo, artefatto e che avrebbe beneficiato di una seconda, pesante revisione, allora questo libro non fa per voi.