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Recensione: “Senza nuvole”, di Alice Oseman

Creato il 16 marzo 2015 da Ceenderella @iltempodivivere

Avrei dovuto postare un’altra recensione, una un po’ meno positiva, ma poi ho finito questo romanzo, sono finita per acquistarlo anche cartaceo in una mattina lunghissima di attesa di un treno che non ne voleva sapere di partire (promemoria per moroso: mai mollarmi nei pressi di una libreria da sola con ore e ore da riempire, MAI) e si è praticamente scritta da sola. Sono così entusiasta del libro della Oseman che dovevo assolutamente parlarvene. Potevo forse aspettare? No, mi sembra ovvio!
Buon inizio di settimana, lettori!

978-88-541-7928-8Titolo: Senza nuvole
Titolo originale: Solitaire
Autrice: Alice Oseman
Traduttrici: Nicoletta Sareggi e Costanza Rodotà
Editore: Newton Compton
Anno: 2015
Pagine: 416

Il mio nome è Tori Spring. Mi piace dormire e mi piacciono i blog. L’anno scorso avevo degli amici. Prima che succedesse tutto quel casino con Charlie, prima di dover affrontare la dura realtà dei miei voti, delle domande per l’iscrizione all’università e prima di rendermi conto che avrei dovuto iniziare a parlare con la gente… Le cose erano molto diverse, credo. Ma adesso è tutto finito. Ora c’è Solitaire. E Michael Holden. Io non so cosa stia cercando di fare Solitaire e non mi importa di Michael Holden. Non mi importa davvero.

Questa non è una storia d’amore, lo dice immediatamente Tori ma si fa fatica a crederle, almeno all’inizio. In fondo ci si trova di fronte a un romanzo young adult e siamo abituati, spesso e volentieri, ad autori che proprio lì vogliono andare a parare: alla nascita dell’amore, ai battibecchi che sfoceranno in sentimenti autentici e condurranno al lieto fine. E in un certo senso anche la Oseman rispetta queste aspettative, ma in un modo tutto suo, imprevedibile, che non mette al centro il romance e sposta la focalizzazione appieno su Tori e il suo percorso di consapevolezza e maturazione, riportando quindi il libro alle basi essenziali di quest’etichetta. Senza nuvole è, infatti, così tanto che faticherò un sacco nel raccontarvelo, non mi sentirò all’altezza e vorrò cancellare il fiume di parole che mi sta attraversando da quando l’ho concluso e mi ha lasciata completa, pienamente soddisfatta, con qualcosa in più rispetto a quando l’avevo aperto. E questa è una cosa che pochi libri, e pochi autori, riescono a fare. Specialmente così giovani. Già, perché l’autrice è del 1994 e ha scritto questo romanzo quando aveva appena diciotto anni – non vi sto a dire come mi sia sentita nel rendermene conto appena terminato il libro. Quel che vi voglio, invece, dire è che raramente mi capita di imbattermi in una storia così onesta e cruda, che non fa sconti né si vergogna di mostrare la durezza di quel periodo critico che è l’adolescenza, nel quale capire chi si è diventa una questione che rimbalza nella mente in maniera ossessiva quasi e trovare il proprio posto nel mondo comporta paure e angosce, tormenti e silenzi, specialmente per chi come Tori è un’introversa cronica, votata al cinismo più spietato e una voce che fatica a farsi sentire, che non capisce, talvolta, quale sia il senso del farlo e preferisca barricarsi dietro un mutismo e dei sorrisi accennati che chi ha attorno si sforza di accettare. Tranne Michael, il nuovo arrivato nella scuola di Tori, che si porta appresso una nomea non propriamente positiva agli occhi dei nuovi compagni e che è – o, almeno, appare essere – l’esatto opposto di lei: spigliato, determinato a diventare suo amico e a non accettare – e anzi, a voler smuovere – il suo torpore, attento ai particolari che nessuno sembra saper cogliere, interessato a conoscere e approfondire quel che lei accetta di guardare solo dalla superficie. Michael diventa, pagina dopo pagina, la lente attraverso la quale osservare con occhi differenti la realtà che la circonda, la falsità di alcuni rapporti, portati avanti solamente per comodo, l’indifferenza che non fa alzar la voce di fronte alle piccole e grandi ingiustizie o cattiverie fomentate da chi si nasconde dietro un blog e uno pseudonimo per colpire gli altri e spingerli a comportamenti scellerati, insensati, da parte di pecore che seguono il gregge anziché avere il coraggio di dire no ed essere allontanate, messe al bando. Michael, quel qualcuno che la smuove dal didentro e la obbliga a svegliarsi, a scuotersi dalla sua immobilità e cominciare a decidere qualcosa, lei che vive praticamente per postare sul suo blog, odiare con tutto il cuore i libri, dormire, bere limonata diet e osservare la situazione clinica del fratello Charlie. La vita di qualsiasi teenager, punto più, punto meno. Almeno finché non arriva Michael, appaiono online i post di Solitaire e Charlie alterna attimi di gioia e buie ricadute.

«Come possiamo essere amici se di me non sai niente?», chiedo.
Si tamburella il mento, pensieroso. «Vediamo. So che ti chiami Victoria Spring. Sei al 12° anno. La tua pagina Facebook dice che sei nata il 5 aprile. Sei un’introversa con un complesso da disfattista. Ti vesti con cose piuttosto semplici, tipo maglione e jeans: non ami trine e merletti. Non ti importa di vestirti bene per gli altri. Hai ordinato una pizza margherita: sei un palato esigente. Aggiorni di rado la tua pagina Facebook: non ti importa degli eventi sociali. Però ieri ha seguito la pista dei post-it, proprio come me. Sei curiosa.» Si sporge in avanti. «Ti piace agire come se non ti importasse di nulla, e se continui così finirai per cadere nell’abisso che ti sei immaginata per te stessa.» Tace. Il suo sorriso svanisce e ne rimane soltanto un ricordo spettrale.
«Dio, ragazzi, sei uno stalker!» Lauren accenna una risata, ma nessuno la imita.
«No», replica Michael, «faccio solo attenzione.»
«Sembra quasi che tu sia innamorato di lei», insinua Evelyn.
Sul volto di Michael appare un sorriso consapevole: «Mi sa che un po’ è così».
«Però tu sei gay, vero?», chiede Lauren, che non ha mai paura di dire quello che tutti pensano. «Cioè, ho sentito dire che sei gay.»
«O-oh, hai sentito parlare di me?» Si sporge. «Intrigante.»
«Ma lo sei?», domanda Lucas, che vorrebbe avere un tono disinteressato ma non ci riesce.
Michael agita una mano. «C’è chi lo sostiene.» Poi con un sorrisone punta il dito su di lui: «Chissà, magari sono innamorato di te.»
Lucas subito arrossisce.
«Sei gay», squittisce Becky. «Tori ha un amico del cuore gay! Sono gelosa!» A volte l’amicizia con Becky è fonte d’imbarazzo.
«Devo fare pipì», dico, anche se non è vero. Mi allontano dalla tavolata e mi ritrovo nel bagno del ristorante, a guardarmi allo specchio mentre P!nk mi dice di sollevare gli occhiali. Ci resto troppo a lungo. Le signore, che entrano ed escono dai bagni, mi scrutano. Davvero, non so cosa sto facendo. Continuo a ripensare alle parole di Michael: cadere nel mio abisso. Non lo so. Perché è così importante? Perché mi preoccupa?
Mamma mia, ma perché ho deciso di uscire stasera?!
Continuo a guardarmi allo specchio mentre immagino una voce che mi esorta a essere divertente, chiacchierina e felice come le persone normali. Seguendo le raccomandazioni di questa voce, comincio a sentirmi un po’ più positiva sulla faccenda, anche se quel che rimaneva dell’entusiasmo sorto per aver rivisto Lucas è scomparso. Probabilmente a causa della camicia hawaiana. Rientro al ristorante.
«Doveva essere una pipì molto lunga», commenta Michael mentre mi risiedo. È ancora qui. Parte di me sperava che se ne fosse andato.
«Sembra che la cosa ti abbia colpito.»
«In effetti sì.» (…)
«Quindi, se gay?», gli chiedo.
Batte le palpebre. «Wow, ragazzi, per voi è proprio una faccenda importante.»
Non è importante, in realtà non me ne frega niente.
«Ti attraggono i ragazzi?», insisto facendo spallucce. «O le ragazze? C’è un modo per verificarlo, se non ne sei sicuro.» Di nuovo alzo le spalle. Non m’importa. Non m’importa.
«Mi attraggono tutti, francamente», mi risponde. «Anche per piccoli particolari: alcune persone hanno mani bellissime. Non lo so. Mi sa che mi innamoro un po’ di chiunque incontro, ma credo sia normale.»
«Allora sei bisex.»
Sorride mentre si sporge in avanti. «Ami tutte queste parole, non è vero? Gay, bisex, attrazione…»
«No», lo interrompo, «no, le detesto.»
«Allora, perché mettere un’etichetta sulle persone?»
Inclino il capo. «Perché è la vita. Senza un’organizzazione cadremmo nel caos.»

Questa, dicevo, non è una storia d’amore: non dimenticatevelo e tenetelo bene a mente, perché non lo è davvero. Senza nuvole è una storia di vita vera, di crescita, lotta e accettazione di sé, dai toni che suonano vagamente tetri ma drammaticamente autentici, genuini nel mostrare una protagonista i cui pensieri sono difficili da leggere e digerire, nei quali mi ritrovo così tanto da spaventarmi non poco; crescita che comincia per quella pura scintilla di curiosità che, nonostante voglia nascondere, impedisce a Tori di non interessarsi al mistero che aleggia attorno al blog che, tra uno scherzo a scuola e un rave-party, sembra essere collegato a lei, ruotarle attorno e volerle dir qualcosa. Ma cosa? E perché?
Mi piacerebbe poter credere di essere una luce che, per quanto bizzarra, è capace di attirare e coinvolgere tutti come Michael Holden, ma la verità è che ero – e rimarrò – una Tori Spring, un’adolescente annientata in rapporti senza futuro, spaventata dalla sua stessa voce e dalla possibilità di usarla, incapace di far un passo in avanti senza aver passato milioni di ore a decidere se fosse la mossa giusta, spesso distratta da cose stupide e concentrata su sé per notare il mondo circostante e quanto quell’indifferenza che si mostrava pur non essendolo feriva chi si ha attorno. Quegli anni non sono stati bellissimi e sono pronta a scommettere che una buona parte di voi che sta leggendo pensa la stessa cosa dei propri, ma d’altronde è così che dev’essere ed è proprio questo che rende il romanzo della Oseman un piccolo capolavoro ai miei occhi: Tori e la sua assoluta onestà e autenticità danno un taglio decisamente raro alla storia, si rifiutano di abbellirla di fronzoli per mostrarcela nella sua crudezza, spogliare il liceo e gli anni a esso collegati dall’aura di perfezione che telefilm e film spesso rimandano per restituirne un’immagine opaca, sporcata dalla brutalità del gruppo e dalla fine dell’età dell’innocenza, spazzata da barlumi di gioie che si infrangono in pochi attimi e picchi di tristezza che sembrano non trovar soluzione, alle prese coi piccoli, grandi problemi della vita. Tutto sembra così drammaticamente insormontabile a quell’età, tutto si ingigantisce e sembra adombrare quel poco che di buono sembra esserci e quest’autrice, forte dell’esserci ancora dentro con tutte le scarpe, lo racconta in un modo così magistralmente da brividi che non posso che consigliarvelo. Per tutte le età. È sempre bello rituffarsi nostalgicamente in quegli anni disastrati e disastrosi. Specialmente quando chi vi ci trasporta lo fa così bene.

Voto: ❤❤❤❤❤


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