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recensione: Shutter Island

Creato il 27 agosto 2010 da Robertodragone

Direte che, me le vado a cercare. E invece questa volta non è così. Ora mi spiego. Dovete sapere che uno dei miei scrittori preferiti è Dennis Lehane, autore di veri e propri capolavori come Mystic River (titolo italiano La morte non dimentica), da cui quel rugoso simpaticone di Clint Eastwood ha tratto l’omonimo capolavoro (a tal proposito, vi linko una delle scene più belle del film in cui Sean Penn – a parer mio il miglior attore vivente – ci regala un’interpretazione di eccezionale bellezza). Lehane ha ovviamente scritto altri libri, tra cui: Gone Baby Gone (titolo italiano La casa buia, della serie che vede protagonisti la coppia di detective privati Patrick Kenzie e Angela Gennaro) e Shutter Island (titolo italiano L’isola della paura), entrambi hanno ispirato altrettante pellicole. Io, amante platonico di Lehane, ho ovviamente recuperato i film tratti dalle sue opere appena questi sono usciti al cinema; di Gone Baby Gone ho già parlato abbondantemente, e se non l’aveste ancora capito impazzisco per Mystic River – direi che è la prima e una delle poche pellicole tratte da un’opera letteraria che non mi ha deluso.

Dopo l’attesa snervante, ho visto Shutter Island, di Martin Scorsese, con Leonardo Di Caprio, Mark Ruffalo, Ben Kingsley e Michelle Williams (c’è anche l’esorcista Max von Sydow), film tratto da quel libro che a me piace tantissimo. Lo lessi in una settimana, di notte, e letteralmente mi terrorizzò. Nonostante a prima vista possa sembrare un poliziesco molto comune (genere in cui Lehane è una spanna al di sopra dei propri colleghi), L’isola della paura è un romanzo con delle sfumature da thriller-psicologico. Come pensate mi sia sentito quando seppi che ne avrebbero tratto un film? A dire il vero provai sentimenti contrastanti: se da un lato alla regia ci sarebbe stato Scorsese, autore maturo e con esperienza, e non quell’incapace di Ben Affleck, dall’altro lato Scorsese non mi ha mai entusiasmato. A parte alcune bellissime eccezioni (Taxi Driver…) molte delle sue pellicole scadono nella seconda parte, anche quelle che per i più sono capolavori come Gangs of New York e Quei Bravi Ragazzi. Tuttavia, a interpretare il protagonista, seppi che ci sarebbe stato il bravissimo Leonardo Di Caprio – che mi consolò quando affermò che aveva letto il romanzo per interpretare meglio la parte. Inoltre, L’isola della paura è un romanzo che chiaramente è stato scritto per trarne un film. Lo stile narrativo e la struttura era facilmente trasformabile in una sceneggiatura. Insomma neanche Uwe Boll avrebbe potuto fallire.

La trama è tutto un programma: i detective Teddy Daniels e Chuck Aule devono investigare sulla scomparsa di una paziente all’Ashecliff Hospital, manicomio criminale situato su Shutter Island (un nome, un programma, insomma). Poiché i pazienti la sera vengono chiusi nelle loro stanze dall’esterno, e le finestre sono sbarrate, e i corridoi controllati, non si sa come Rachel Solando sia riuscita a scappare. Sembra letteralmente sparita. E il caso è aperto.

Il film sin dai primi minuti crea una sorta di paranoia nello spettatore. Ancor prima di conoscere il caso (di per sé enigmatico e contro ogni senso logico) la pellicola ci dice che ogni uomo ha il proprio abisso con cui convivere, e la differenza tra persone sane e pazze, è che queste ultime nell’abisso si sono perse. Grazie a dei flashback, il film sembra che voglia confondere e far impazzire lo spettatore, facendogli scavare in quel posto che sembra trattare il film: la mente umana. Cosa si nasconde nella psiche umana? Cos’è la sofferenza? Come si guarisce da un trauma? Soprattutto, il film mostra come ci siano diverse realtà dipese dalle situazioni vissute dai singoli individui, ma soprattutto sfrutta la location del manicomio per fare un «film pazzo».

recensione: Shutter Island

Devo ammettere che Scorsese è stato bravissimo, nonostante alcune sbavature che maniacalmente ho notato. Egli infatti ha costruito un film paranoico che, a differenza di altre pellicole psicologiche, spiega per filo e per segno gli sviluppi assurdi della trama, per confondere lo spettatore e metterlo alla ricerca della spiegazione logica. A confondere lo spettatore e aiutare la «confusione ordinata» della pellicola ci pensano più elementi riusciti; il primo è lui, Leonardo Di Caprio, che, anche dopo essersi guadagnato il titolo da bravo attore tante pellicole fa, continua a dare il meglio di sé in ogni opera entrando pienamente nelle parti, anche più difficili. Il secondo elemento riuscito è la regia che ci regala delle immagini davvero evocative. Direi che tutte le scene alternate, cioè quelle scene che mostrano contemporaneamente più situazioni che avvengono in differenti lassi di tempo, sono degli autentici gioielli. Funzionano i flashback, ma soprattutto funzionano le allucinazioni. Alcune scene, che mescolano vari di questi elementi, le ho trovate assolutamente geniali. C’è da ammettere che Scorsese è riuscito a capire l’anima del libro e a trovare le giuste soluzioni per trasformarlo in una bellissima pellicola. Scorsese, inoltre, in alcune scene gioca al regista horror e in altre ancora gioca a David Lynch, regista che sarebbe stato perfetto per dirigere Shutter Island dato il suo – diciamo – paranoico e visionario punto di vista sulla psiche umana.

Una minuscola nota dolente va al finale. Il libro ha infatti quello che per me è uno dei finali più spettacolari di tutti i tempi, ma se il libro riesce a costruirlo nel migliore dei modi, nelle scene finali Scorsese si perde un po’ non sfruttando appieno il potenziale. Tuttavia l’ultima scena è bellissima, e chiude quello che risulta un film che lo spettatore saprà apprezzare.

In ConclusioneE’ un film che quasi eguaglia la bellezza dell’opera letteraria da cui è tratto. Un film psicologico costruito sulla paranoia e la confusione, che intrattiene lo spettatore per tutta la durata senza mai annoiarlo. E’ una pellicola che consiglio agli amanti del genere thriller, e a tutti quelli che hanno un minimo di amore verso il cinema. Voto: 9

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