Titolo: Siddon Rock
Autore: Glenda Guest
Editore: Miraviglia editore
Traduttore: Sara Quarantani
ISBN: 9788889993262
Num. Pagine: 247
Prezzo: 17,50€
Voto:
Trama:
Macha Connor entra a Siddon Rock, di ritorno dalla seconda guerra mondiale, completamente nuda, con un cappello sulla testa, un paio di stivali consumati e il suo fucile. “Quella notte la luna non brillava, né si udiva alcun rumore, né l’ululato dei dingo, né il bramire dei canguri.” Si apre così questo romanzo intriso di realismo magico e della potenza del territorio australiano, che presenta una galleria di personaggi eccentrici muoversi in uno strano e inquietante equilibrio nella cittadina dai segreti inenarrabili. Come Neil, aborigena dai magici poteri, inserviente alla scuola, che tutti conoscono, ma che nessuno vede, o come Sybil Barber che pulisce macchie di sangue inesistenti nella macelleria del padre, e Marge Redall la locandiera che cammina accompagnata da una nube di minuscole forme blu sulla testa, “perché tutti portiamo con noi cose che nessun altro può avere”. Ma sarà Catalin Morningstar a stravolgere l’apparente quiete di Siddon Rock, arrivando con suo figlio Josis, dice lei dall’Europa. Sono accompagnati solo dai fantasmi e da uno strano violoncello sul cui manico appaiono le date di nascita e di morte delle persone a loro care e sono inseparabili fino ad una tragica notte in cui qualcosa di sconvolgente li separerà.
Recensione:
Vi è mai capitato di perdervi in una città completamente diversa dal mondo cui siete abituati, in cui vivono persone a metà tra il vero e la visione, così concrete nelle loro convinzioni eppure così evanescenti nella loro essenza? In cui arrivano solo gli stranieri che cercano qualcosa che nemmeno loro sanno che aspetto abbia, in cui la notte se si tengono gli occhi aperti succedono cose che possono spiegare il senso di tutto e di nulla?
A me è capitato leggendo Siddon Rock, un romanzo che mischia realismo magico a un nonsense alternato, che nelle sue strade intreccia diverse vicende di cittadini vecchi e nuovi, passato e presente, storie comuni o completamente differenti, dove i personaggi si rendono memorabili, strabilianti, sorprendenti, teneri e folli.
Siddon Rock è una città estrema dell’Australia, nata per caso e in cui il colore predominante è il marrone, immersa tra il bush e i billabong, i laghi salati con la superficie a specchio che non rivelano nulla di ciò che vi è sotto, celando segreti, vite, ricordi, pronta ad accogliere nel suo abbraccio sabbioso e indolente chiunque abbia voglia di arrendersi a essa.
Macha imbracciò il fucile. Nell guardò il cane poi Macha, che tremava con il suo dito premuto contro il grilletto. «Ehi, Mach», disse, «che cosa stai facendo? Non puoi uccidere i fantasmi altrui.»
I protagonisti sono tanti, sono tutti, caratteri affini o contrastanti, normali eppure tanto particolari da essere inconfondibili. C’è Macha appena tornata dalla guerra, che non riesce a dimenticare gli orrori che ha visto e udito, che trova rifugio nello Yackoo, l’unico posto che le concede la tranquillità di cui ha bisogno; c’è Alistair che ama il suo lavoro, ama la moda e ama Allison, per la quale sceglie solo le stoffe più pregiate e le confeziona con le sue stesse mani; c’è Nell, uno spettro che lavora in ospedale e vede tutto, sa tutto, ma che pochi sono in grado di ascoltare; c’è Granna che non ha un’età, arrivata molto tempo fa e ancora immutata, ancora lì a prendersi cura della famiglia Aberline; ci sono Marge, Sybil, Kelpie, Bluey, e poi ci sono gli ultimi arrivati: Josis e la madre Catalin, accompagnata dal suo violoncello e i colori nei suoi occhi.
Se non l’aveste ancora capito, mi è piaciuto.
Ho apprezzato il (non tanto) sottile velo di fantasia e realtà che permea la narrazione, l’ambientazione è uno di quei luoghi che possono trovarsi soltanto ai margini dell’esistenza, un posto in cui tutto è quel che sembra, ovvero qualcosa di imprescindibile, qualcosa che non va compreso ma solo vissuto come meglio si può, perché gli spiriti che animano il lago salato, il bush, i dingo, lo Yackoo sono invisibili e impalpabili, ma sono in grado di attrarre e respingere, di inglobare e rapire, di ingannare e mostrare la verità a chi ha il coraggio di volerla guardare.
Questa è un’opera non immediata, al lettore occorre qualche capitolo per immergersi in un universo più increspato di quello che si aspetta, sogni, incubi e luce del sole si fondono e si incastrano in una geometria sorniona, che sembra affermare con pacato pragmatismo che ci sono cose che non cambieranno mai, e altre che invece non smetteranno mai di cambiare.
Quelle persone pensano che mettere le storie su un pezzo di carta le faccia diventare loro, come se non cambiassero mai.
Bello. Consigliato solo a chi sa tenere i piedi per terra e la mente ben oltre il cielo.