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[Recensione] Sopdet di Lara Manni (ancora)

Creato il 28 agosto 2011 da Queenseptienna @queenseptienna

Titolo: Sopdet. La stella della morte
Autore: Lara Manni
Editore: Fazi
Genere: Urban Fantasy
Pagine: 375

L’altra recensione (più lusinghiera) di Sopdet.

Salve, scrittevoli lettori, qui è il vostro Ewan con un’altra recensione tutta per voi. Questa volta, come avrete facilmente notato sia dal titolo del post che dalla scheda rassuntiva qua sopra, la fatica letteriaria che è finita tra le mie manacce è Sopdet di Lara Manni.

Piccolo aneddoto pre-recensione. La mia strada e quella di Lara Manni si sono incrociate ben prima che io impiegassi parte del mio tempo libero a berciare contro pessimi libri, quando mio padre, che lavora in una legatoria, portò a casa una copia di Esbat, il primo romanzo della Manni. Non ho letto subito Esbat, ma l’ho inserito nella lista mentale dei libri interessanti. Diciamocela tutta: non mi ispirava perché parlava di manga. E se volete essere miei amici dovete sapere una cosa su di me: io odio i manga.

Poi leggo su internet che a tanti è piaciuto Esbat. Sai che novità, su internet la gente è prodiga di complimenti per roba che vale zero. Però quando perfino Gamberi Fantasy e Baionette Librarie non dico si sperticano in lodi, però elogiano il romanzo, mi convinco che è il caso di leggere Esbat.

Non me ne sono pentito. Esbat è un bel romanzo, scritto con passione e con uno stile molto efficace. Ho odiato ogni singola scena con Ivy, ma il resto mi ha soddisfatto.

L’anno dopo esce Sopdet, il sequel (per la regola non scritta che se scrivi fantasy e non pubblichi trilogie ti puzzano i piedi). Mi dico: lo leggo. Mi dicono: la protagonista è Ivy. Mi dico: non lo leggo più.

Poi di nuovo le reazioni positive un po’ da tutte le parti su siti, blog e forum, quindi mi faccio trascinare dall’isteria collettiva. Spendo i miei bei 18€ (forse qualcuno in meno, visto che l’ho comprato su Amazon) e mi tuffo tra le pagine di Sopdet.

Il risultato?

VAFFANBRODO, INTERNET!

[Recensione] Sopdet di Lara Manni (ancora)

La trama

Il romanzo si apre con una scena meta: una madre racconta alla figlia di un libro che ha letto e, oh Gaga, quel libro è proprio Esbat. Grazie per avermi ricordato il finale discutibile di un libro che altrimenti sarebbe stato perfetto, Lara Manni.

Neanche fosse stato evocato dalle parole della donna, Yobai, uno dei demoni protagonisti di Esbat, si ritrova nella stessa stazione della metropolitana di madre e figlia e poi è vittima di quello che immagino sia un trip abbastanza confuso tra le epoche e le dimensioni.

Nel primo capitolo ritroviamo Ivy, che fa anche lei un breve spiegone del libro precedente e che, sorpresa sorpresa, sembra meno scema di come l’avevamo lasciata alla fine di Esbat. Parallelamente a Ivy ci viene presentato il bisnonno della ragazza, Giovanni Berton, che è morto durante la prima guerra mondiale, per mano non del nemico, ma del colonnello Hans Landa maggiore Ose, che altro non è che un’emanazione di Yobai. alla morte di Berton sembra interessato anche Hyoutsuki, che per essere un demone che disprezza i mortali è veramente troppo presente nella vita della famiglia di Ivy.

Nel frattempo Ivy avverte un malore proprio mentre sta visitando il monumento ai caduti della grande guerra e sviene, viene portata all’ospedale ma qui, dopo la visita di un uomo misterioso che riferisce di essere suo zio (ma ovviamente non lo è), ha una ricaduta ed entra in coma. Non che la cosa mi dispiaccia. A piangerla ci pensa Max, il ragazzo inquietante che c’era anche in Esbat. No, non Sasuke, l’altro. Ah, non ve lo ricordate? Beh, non era propriamente Mr. Sono-rilevante-per-lo-svolgimento-della-trama, in effetti…

Sempre nel 1915, Hyoutsuki riesce a raggiungere Adelina e a salvarla da sé stessa, visto che la donna, incinta di quella che sarà la nonna di Ivy, è sul punto di commettere suicidio.

Intanto, una zia di Adelina scrive al marito che, guardacaso, è un commilitone di Berton, manifestandogli preoccupazione per la nipote. Ose/Yobai intercetta la lettera e convince il soldato a tornare a casa dalla moglie, dicendogli che lo accompagnerà. Ora, io non sono molto ferrato in storia militare italiana del primo Novecento, ma non mi pare la prassi che un ufficiale accompagni un soldato a casa per il funerale del figlioletto, ma ovviamente serviva una scappatoia per mettere Yobai sulle tracce di Hyoutsuki, per cui beviamoci questa storia.

Nel presente, Ivy si è svegliata dal coma e, come tutte le persone appena svegliatesi dal coma, prende e scappa dall’ospedale assieme alla vecchia con cui divideva la stanza. Logico, no?

Hyoutsuki mette in salvo Adelina, della quale deve proteggere la progenie, perché Ivy ha il Poteeeeere. Hyoutsuki decide pertanto di tornare al paesello per affrontare una volta per tutte Yobai e lascia Adelina alle cure di un gruppo di attori itineranti che hanno incontrato mentre erano in fuga.

Intanto la vecchia vicina di letto porta Ivy dalle sue due compagne che, oltre a ricordare in modo inquietante la tripletta di Belleville, sembrano sapere qualcosa su Hyoutsuki e sulla fanfiction di Ivy. Saranno registrate a EFP.

Di nuovo nel 1915, il confronto tra Hyoutsuki e Yobai è ormai inevitabile e, nel 2007, le tre vecchiacce ingiungono a Ivy di fermare Yobai utilizzando il suo Poteeeeeere. Ivy allora disegna Yobai e, in una didascalia, scrive qualcosa del tipo “Ora non è più immortale”. Ma come tutti sanno, le regole del magico Poteeeeeere delle fanart sono molto severe e, non avendo specificato il soggetto, Ivy condanna alla mortalità sia Yobai che Hyoutsuki. Ora, lo so che è un colpo di scena fiacco e pigro, ma è pur sempre un mutamento dello status di quelli che sono i due protagonisti del libro, ovvero i due demoni, che perderebbero proprio l’unica caratteristica da cui fanno derivare tutto il loro potere. Sembra interessante… e infatti non dura che per qualche pagina.

Il conflitto tra Hyoutsuki e Yobai si risolve infatti in fuffa ancora una volta grazie al maggico Poteeeeere di Ivy, anche perché altrimenti il romanzo sarebbe finito.

Salto temporale! Siamo nel 1943, durante l’altra guerra mondiale, e Adelina è diventata un’attrice teatrale, proprio come sognava nel 1915. Ivy invece è sempre stupida. Difatti, dopo il salto temporale tutti i personaggi ci sono ancora e niente è cambiato (perché Ivy ha revocato la mortalità dei due demoni), rendendo virtualmente inutile tutto ciò che è avvenuto nel 1915.

[Recensione] Sopdet di Lara Manni (ancora)

Inoltre, Hitler shippava Sam/Frodo

Nel 1943 Yobai è ancora alla ricerca di Adelina e sopravvive sotto le mentite spoglie del professor Ose, che potremmo definire un simpatizzante del nazionalsocialismo, anche se Yobai ci tiene a far sapere a noi lettori che il nazismo è tanto brutto e che lui, a nome del Sindacato dei Demoni, non lo approva affatto. Faccio personalmente fatica a credere che uno spietato demone come lui abbia qualsivoglia critica da muovere alla filosofia hitleriana della supremazia della razza, visto che Yobai e Hyoutsuki fanno a gara a ricordarci quanto è fico essere demoni e quanto siano deprecabili gli esseri umani. Quindi questo slancio di buonismo suona molto out of character, quando non un vero e proprio modo con cui l’autrice esprime il suo pensiero utilizzando i propri personaggi.

Youtsuki non è ancora riuscito a rintracciare la persona che sta cercando, ma sa che ha sposato un ebreo, per quanto suoni improbabile, per cui organizza una specie di complotto servendosi di un podestà desideroso di compiacere le SS.

Sempre nel 1943, Hyoutsuki riesce a ritrovare Adelina, per la gioia di quest’ultima che, a dispetto dell’està, si tinge sempre più di Mary Sue. Con disappunto, il demone apprende che la donna ha dato via la figlia alla coppia di attori itineranti che l’aveva soccorsa nel 1915 e quindi i due si mettono in viaggio per un’altra fantasmagorica avventura on the road.

Intanto, nel 2007, Max salva Ivy da un’aggressione, non ci risparmia un intermezzo su Veltroni e i rom, e porta Ivy in quello che dovrebbe essere un luogo sicuro. Piccolo problema: il suogo sicuro in questione non solo è un reparto di psichiatria, ma gli è pure stato indicato da una voce proveniente dalle casse del suo computer e che risponde al nome di Faust. Già.

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Fidarsi delle voci magiche che provengono dal computer è ok, ma mai dare loro il numero della carta di credito.

Ivy, che, già l’ho detto, sembra meno scema di come l’avevamo lasciata in Esbat, scappa via dal reparto psichiatrico e da creepy-Max (sì, ora Max, il bamboccio timido che si preoccupava amorevolmente per Ivy via Msn nel primo libro, è diventato un ragazzo inquietante che compra pistole e le usa).

La fuga di Ivy ci introduce un altro villain, il ghoul (ovvero lo zio di prima), che, come quasi tutti i personaggi soprannaturali, vuole far fuori la ragazza col Poteeeeere. Mentre scappa da lui, grazie a un non meglio precisato “qualcosa” (l’ho giò detto che tanto è fantasy?), Ivy scopre con orrore che il ghoul sta per uccidere sua madre, un personaggio così gradevole che tutti noi lettori siamo angosciati all’idea di non rivedere più.

Di nuovo nel 1943, assistiamo a una delle scene più stupide dell’intero libro. E non sarà una scena stupida alla Terry Goodkind (“Oh, persona che cercavo, che fortuna che tu sia stata portata a me dal mio amico con cui non parlavo dall’inizio del libro, che non era al corrente della mia necessità di incontrarti e che non aveva la minima idea di che faccia avessi. Ora andiamo a salvare Kahlan da un tentativo di stupro.”), ma è comunque indegna dell’autrice di Esbat.

Adelina e Hyoutsuki vengono fermati a un posto di blocco da una pattuglia di soldati tedeschi che chiedono loro i documenti. Nessun problema per Adelina, ma Hyoutsuki figura come di nazionalià inglese e deve quindi essere fermato per ulteriori controlli. Una procedura a cui il demone non intende sottoporsi. Hyoutsuki fa quindi quello che vorrei fare io ogni volta che vado all’ufficio postale e ammazza i tedeschi. Però c’è un però. Per quale assurdo motivo Hyoutsuki ha dei documenti falsi che lo segnalano come inglese, visto che i tedeschi sono in guerra, tra gli altri, con l’Inghilterra? Era solo una scena scritta per far uccidere qualcuno a Hyoutsuki, vero? Perché non ha senso.

Subito dopo, per pura coincidenza Goodkind-style (qui mi spiace, ma Lara Manni si è giocata il beneficio del dubbio), Hyoutsuki e Adelina incontrano il marito dell’attrice itinerante che ha la figlia di Adelina. Come no. L’uomo è in fuga da un campo di prigionia per slavi e sua moglie, dice, è morta, ma la bambina è viva e si trova sul Lago Maggiore.

Già, peccato che nella scena successiva Yobai ci informi, con un tempismo estasiante, che ha in effetti ucciso la figlia di Adelina assieme a buona parte degli abitanti del villaggio sul lago. La linea di sangue è spezzata e Hyoutsuki è condannato alla morte. Ma tanto non mi freghi, Lara Manni, so benissimo che non lo ammazzi il tuo gnokko.

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Questo dovrebbe essere l'alter-ego di Hyoutsuki. Gnokko è gnokko, ma fatico a immaginarlo credibile nel ruolo di un soldato.

Intanto, Hyoutsuki dimentica la tiritera che ci propina da duecento pagine, senza contare il libro precedente, ovvero di quanto siano putridi, esecrabili e disgustosi gli esseri umani, e cavalca Mary Sue… pardon, Adelina. Non me lo sarei mai aspettato. Grazie al magico sesso interspecie, Hyoutsuki capisce che la tizia morta nel lago non è in realtà la figlia di Adelina. E Taylor Forrester non è realmente morta in quell’incidente aereo in Egitto.

Viene fuori che la coppia di attori itineranti ha preso con sé la figlia non desiderata di Adelina, salvo poi scoprire di aspettare a loro volta un bambino. Il problema è che c’è la guerra e i mezzi di sostentamento scarseggiano, per cui hanno deciso di abbandonare la figlia non biologica a una famiglia svizzera. Sì, ok, bello. Ma perché l’idiota del marito – che sapeva benissimo tutto l’assurdo retroscena – ha omesso di menzionare questo piccolo dettaglio ad Adelina? Ah, sì… per allungare il brodo!

Comunque, anche i nodi del 1943 vengono al pettine, e si ripete in sostanza la stessa scena del 1915, con Hyoutsuki che affronta Yobai in un combattimento all’ultimo sangue e Ivy che disegna sperando di annientare Yobai. Solo che questa volta si intromette il ghoul, che abbiamo scoperto essere nientemeno che un emissario di Yobai, che riesce a fermare Ivy, mentre Hyoutsuki e Yobai non si capisce che fine facciano perché sembra di stare nella testa di uno schizofrenico. Comunque Yobai non è morto e Ivy è salva, non fosse altro che ci sono ancora 70 pagine da leggere. Per cui, in buona sostanza, il 1943 si conclude ancora una volta senza che vi sia stato il benché minimo mutamento nelle condizioni dei protagonisti.

La Germania avrà perso due guerre mondiali, ma Lara Manni ha fatto di peggio, usandole come contesto storico quando in realtà non c’era affatto bisogno che ciò avvenisse. Cacchio, il libro avrebbe potuto essere ambientato in uno scantinato e non sarebbe cambiata una beata fava. L’unico motivo per cui sono state usate le guerre mondiali è per fare sfoggio di cultura e sensibilità, vero? Come se noi lettori ora dovessimo domandarci: “Alla fine di tutto questo, chi è il vero demone?”. Beh, news dell’ultimora: il demone è sempre Hyoutsuki.

Comunque, si passa al 1977, anni di piombo, e la madre di Ivy è una black-block in erba. Comunque non è importante perché compare solo per mezza scena. E comunque ora è morta. Pace all’anima sua.

Adelina invece è una sorta di… musicista post-hippie?

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Ovviamente Hyoutsuki si mette in contatto con Adelina… anche se mi sfugge il perché: la vecchiarda non gli serve più, visto che non ha nessun legame con la figlia. Ah, sì. Gerontosesso.

Tra parentesi, ora capisco perché Ivy è così insopportabile: 92 anni di pessime figure materne.

E alla fine Hyoutsuki e Yobai diventano amykettissimi e si coalizzano per uccidere la Dea, la Dea (ex machina) che intesse i loro destini dall’inizio del libro…? Pronto? Libro? Quando hai rinunciato ad avere senso?

Comunque, proprio mentre la Dea sta per sopraffare Hyoutsuki e Yobai, nel 2007 Ivy mette in scena il rituale dell’Esbat e chiama a sé Hyoutsuki, lasciando Yobai al suo destino e noi lettori al cliffhanger e all’inevitabile mal di testa dopo sbronza.

Lo stile

Lo stile è parecchio confuso eppure continuo a sostenere che la Manni è proprio brava a gestire le parole e i ritmi narrativi. Solo che è confusa. Troppo confusa. Sembra che questo libro abbia la Sindrome da Deficit di Attenzione e Iperattività. Io non dico rimanere focalizzati su uno stesso periodo temporale, perché in fondo il gioco è quello, di shiftare tra le varie date, però per lo meno sviluppare le scene in una maniera comprensibilie, per Gaga!

La storia vuole avere un respiro epico, ma suona solo pretenziosa. Dell’inutile inquadratura storica ho già detto prima.

I personaggi sono a dir poco sciapi. Perfino Hyoutsuki, che, per quanto gnokko, non è il classico demone da letteratura Yong Adult, quello che è sì semidivino, ma è dotato di emozioni più che umane. Hyoutsuki non sacrificherebbe mai la sua immortalità e il suo potere per una cosa così ridicola come l’amore di un umano. Anzi, non toccherebbe un umano nemmeno con la punta del mignolo. Ovviamente il tutto è mandato in vacca quando Mary Sue riesce a portarselo a letto non una ma ben due volte. Ah, la forza dell’ammmmmoreH.

Su Adelina, poi, vorrei stendere un velo pietoso. Non è un personaggio che ispira compassione e simpatia come vorrebbe essere nelle intenzioni dell’autrice. Si tratta di una donna viziata che ha dato via la figlia per perseguire il suo obiettivo di diventare un’attrice e il fatto che le siano morti fidanzato, zia e figlia non la redime nè la fa sembrare meno egoista.

In conclusione

Sopdet non è Esbat. E dove nemmeno Esbat era perfetto, Sopdet è soltanto un’esperienza frustrante.

Vuole essere disperatamente come Esbat, ma gli mancano personaggi ben sviluppati e una trama chiara e coerente. Dove in Esbat c’era il Giappone e il mondo dei manga, qui troviamo un polpettone criptomoralista degli eventi che hanno segnato la storia d’Italia. Ma chissenefrega? I jappi dell’altro libro un senso ce l’avevano, tutti, nessuno escluso. Ed erano affascinanti, perfino per me, che detesto i manga e tutta la subcultura che li circonda. C’era un tocco d’amore quando Lara Manni scriveva della sensei e dell’hikikomori. Tutto questo è sostituito da una discreta pretenziosità in Sopdet. Del tipo: Ok, basta parlare di manga, facciamo l’autrice impegnata e parliamo di guerra mondiale. Non funziona mica così.

Sinceramente con queste premesse, Tanit, il threequel, rischia sul serio di essere una menata ecologista con Yobai che tenta di uccidere Al Gore per far estinguere i tonni dalle pinne gialle.

Voto finale
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