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[Recensione] Terre selvagge di Sebastiano Vassalli

Creato il 17 ottobre 2014 da Queenseptienna @queenseptienna

Terre selvaggeTitolo: Terre selvagge
Autore: Sebastiano Vassalli
Editore: Rizzoli
Anno:
2014
ISBN: 
9788817074759
Numero pagine: 
297
Prezzo:
€ 18,00
Voto: [Recensione] Terre selvagge di Sebastiano Vassalli

 

TramaAi piedi del monte Ros, impassibile nella sua armatura di ghiacci, dimora degli dei, centro del mondo conosciuto, si estende una pianura fitta di boschi e pericoli. In questa terra a sud delle Alpi, disabitata e talmente inospitale che nel 101 a. C. non ha ancora un nome, sono schierati uno di fronte all’altro, su una superficie lunga chilometri, i due eserciti più grandi del continente. Duecentomila uomini pronti a combattere corpo a corpo, a massacrarsi fino allo stremo: a fare la guerra nel modo in cui la guerra veniva fatta oltre due millenni fa. Da una parte un popolo di invasori, anzi di “diavoli”, che ha percorso l’Europa in lungo e in largo, portando distruzione ovunque, ed è dilagato nella valle del Po saccheggiando città e villaggi, mettendo in fuga gli abitanti. È il popolo dei Cimbri, invincibile da vent’anni e deciso, forse, ad attaccare persino Roma. Dall’altra parte c’è il console Caio Mario, l’uomo nuovo della politica, con il suo esercito di plebei ed ex schiavi, l’ultimo in difesa dell’Urbe. Quella che stanno per affrontare non è una battaglia, è lo scontro tra due civiltà al bivio cruciale della sopravvivenza, è un evento destinato a cambiare la Storia. “Terre selvagge” è un viaggio nel tempo, in un’Italia ancora misteriosa, così vicina e così lontana da quella che conosciamo. È il racconto di una pagina drammatica della vicenda umana, finora avvolta da incertezze, falsità e malintesi.

Recensione: Terre selvagge indica il luogo dove si combattè la battaglia finale di Romani contro Cimbri, tra Novara e Vercelli. Sono i Campi Raudii, sui quali guarda impassibile il Monte Rosa e scorre, per un tratto, il Po.

In queste pagine si narrano le vicissitudini di due popoli pronti ad affrontarsi in uno scontro che appare da subito ineluttabile. Sia i Cimbri che i Romani sono popoli guerrieri dediti alla conquista. Il popolo romano è e sarà conquistatore per eccellenza, il suo impero non gli verrà regalato. L’avanzata di quello cimbro ha lo scopo trovare una terra promessa nella quale stanziarsi, ed esaudire l’aspirazione di fermarsi e mettere su casa. I cimbri non sono gente nomade, lo diventano per necessità. Una fetta si ferma nell’altopiano di Asiago, dove rimangono tracce della parlata locale.

Ci troviamo nel 101 a.c., l’anno di nascita (o giù di lì) di Gaio Giulio Cesare. È ancora lontano il periodo delle invasioni barbariche vere e proprie (dal II al V secolo dopo Cristo). I libri di storia di scuola ci parlano di Goti, Visigoti, Burgundi, protagonisti di un periodo di transizione, quello che spezza il mondo classico e ci conduce al medievale. Il I secolo a.C. è a sua volta periodo di transizione, e dei più burrascosi: è il momento in cui la Repubblica romana dà segni di cedimento e si aprono le porte al Dominato, da Ottaviano Augusto in poi. A ragione si guardano con sospetto gli uomini nuovi: Caio Mario prima, Giulio Cesare poi, che hanno in comune un elemento inquietante per l’epoca, l’accumulo di magistrature (consolati) nel corso degli anni.

Tuttavia di quella guerra terribile resta poco:

 “non ha avuto nei secoli la fama che doveva avere e che viene attribuita ad avvenimenti molto più piccoli, perché la sua memoria è stata falsata fin dall’inizio” p. 211

Restano resoconti a tratti inattendibili, perché ripresi da rapporti adulterati, come a dire che la storia la raccontano i vincitori, o coloro che si reputano tali: è il caso di Plutarco che si basa sulle memorie di Silla.

Compito di uno scrittore è parlare anche di ciò che non si conosce, costruire mondi a partire da ciò che si tace, seguendo le suggestioni del plausibile, e soprattutto

ponendo i personaggi vivi nel loro tempo affinché possiamo immaginarceli e comprenderli p. 66

è tempo ormai che cerchiamo di rappresentarci quegli avvenimenti come già nell’antichità faceva Omero: chiedendo aiuto alla dea della poesia epica cioè alla nostra immaginazione p.217

come a dire che la poesia epica è nata così, non per presa diretta, ma di racconto in racconto, di bardo in bardo, illuminata dalla immaginazione del narratore.  Un modo come un altro per intuire quale sia la forza della letteratura, e come la Storia rischi a volte di fermarsi su ciò che rimane in superficie, per  esempio davanti a silenziosi reperti.

A ben vedere non c’è altro modo di riportare alla luce ciò che le memorie e i reperti nascondono (la battaglia secondo gli antichi) e non possono raccontare. È avvenuto un processo inverso rispetto a ciò che ha coinvolto Schliemann: prima Omero, poi le scoperte archeologiche. Qui: prima le fonti, dopo – e finalmente – il racconto epico (la battaglia secondo noi). Il quale coglie momenti che con la storia – che va per conto suo – non hanno granché a vedere. Essa rende possibile, se non l’immedesimazione, l’empatia propria di chi si affeziona ai personaggi di un racconto che si offrono a noi non dentro una teca, ma vivi e pulsanti.

Scorgiamo esistenze calate in una storia di cui sono state succubi, rapite per sempre dal loro presente e imprigionate nei libri di storia. E altre, non certo di contorno, che l’hanno beffeggiata e vinta, vi sono passate attraverso. Non è indifferente il modo in cui hanno vissuto, non sono indifferenti i pensieri che hanno pensato. Il loro, finché è durato, è stato un presente da riempire di significato.

Lo scontro tra romani e cimbri non è che uno tra i mille che la storia ricorda o ha dimenticato, non è che uno fra quelli che hanno contribuito alla compagine politica o territoriale che conosciamo. L’Europa stessa, un vestito di stoffe diverse, è erede del mondo antico, è emersa scalzando la centralità del mare mostrum, a seguito del crollo dell’Impero romano d’Occidente.

Giunti al culmine nella guerra, si capisce che non vi saranno sconti per nessuno. Chi vincerà, piglierà tutto. Non solo la terra, ma la vita e la libertà dei soccombenti.

Se, come ricorda l’autore, la libertà per i Cimbri era più importante della vita stessa, una volta scoppiate le ostilità era destino che uno dei due popoli fosse annientato e ridotto in schiavitù.

Le cose non andarono diversamente nel corso della battaglia contro i Teutoni, alleati dei Cimbri. Questi ultimi, innervositi dalla ritrosia del nemico, ne assalirono l’avamposto cadendo in trappola e trovandovi la morte. Ridotti allo stremo, la mattina furono accerchiati e uccisi uno a uno.

Maestri di strategia, i Romani dalla loro parte avevano una organizzazione da non sottovalutare ed erano, nonostante le apparenze, meglio armati:

i cimbri hanno poche armi, hanno quelle loro spade enormi che sembrano e sono temibilissime, ma che si maneggiano male e che spesso, per il peso, gli sfuggono di mano p. 63

 Il tempo è un tema di fondo importante, a significare che il destino ruota in un senso, ma anche nell’altro. I protagonisti in campo ne sono consapevoli:

Noi possiamo sconfiggere i nostri nemici ma non possiamo sconfiggere il tempo. Alla fine sarà il tempo a sconfiggerci p. 74 

Questo vale per tutti, Romani compresi, anche se molto più tardi. La ruota gira, insomma, non sempre importa sapere in che modo si vincano le guerre:

Le guerre si vincono con la disciplina dei soldati e con lo scrupolo e la pignoleria di chi li comanda” p. 99

 Di capitolo in capitolo vi è un continuo rimando al presente, come se queste pagine costituissero uno specchio attraverso il quale diventiamo diretti testimoni di ciò che accadde qualcosa come duemilacentoquindici anni fa. Si attua una vera e propria connessione. Il romanzo assomiglia a una fibra ottica che ci collega a un passato che molto ci somiglia. E non per prenderne le distanze, ma per capire. Fa in modo che di quella guerra così lontana nel tempo rimanga traccia. Lo spiega bene l’autore in un’intervista (vedi qui):

“Le grandi storie sono nel passato, o nel futuro. Il presente è la vita del condominio. C’è qualche spunto che diventerà importante, ma noi non possiamo coglierlo o, nel momento in cui si manifesta, non ha bisogno dello scrittore. Ne parleranno la televisione, i giornali, Internet”.

 

 

 


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