L'autore:
La recensione di Sara: Billie Randall è scomparso nel nulla inscenando il suo suicidio. A testimoniarlo è un video in cui l’uomo è imbrigliato in una sorta di sedia elettrica che lo trasporta in una dimensione cibernetica. Sua sorella Blythe, ultramiliardaria e bellissima, è determinata a ritrovarlo e, per farlo, si lascia aiutare da un vecchio spasimante dei tempi del liceo, sociopatico, esperto hacker informatico.
È grazie a James che la donna scoprirà, oltre il dolore della scomparsa di suo fratello, un sadico omicida. Billie ha ucciso una donna utilizzando un sadico strumento di tortura medievale e, probabilmente altre sono le morti che si celano dietro il video che lo dimostra. Billie è una personalità artistica e geniale ma anche un serial-killer pronto a spargere sangue nel cyberspazio, una dimensione che non è solo confinata dietro lo schermo di un computer ma che lo avvolge e trapassa come un coltello appuntito. Cybersex, sadismo, masochismo, psicopatologia e difficoltà di relazione, questi gli ingredienti che caratterizzano l’universo partorito dalla mente del geniale Michael Olson. L’autore ci presenta un mondo parallelo pieno di dolore e atrocità, una società che si nasconde dietro un avatar imprigionato nei chip di un computer per non uscire allo scoperto e affrontare le proprie difficoltà. Gli abitanti del cyber spazio sono fondamentalmente nevrotici, ossessivi-compulsivi, sociopatici e maniaci del sesso, soggetti borderline che non hanno un vero posto nel mondo fisico e se ne creano uno ideale. Anche lo stesso James, l’hacker che potrebbe salvare Billie è un habituè di questo universo parallelo, i meccanismi non gli son affatto sconosciuti ma piuttosto tasselli di una triste routine che da anni lo accompagna. Quello che è, secondo me, il punto di forza di questo romanzo è il non voler giudicare, il presentare un quadro psicologico di vittime e assassini che non pone paletti, che non pretende di individuare la parte bianca o nera della storia. L’autore entra in punta di piedi in una realtà che va al di là del gioco virtuale, seziona la psicologia dei personaggi come fossero corpi su un tavolo operatorio e ne analizza ogni più piccolo e apparentemente insignificante dettaglio. Billie è un assassino ma, nonostante tutto, non viene presentato come un pazzo assetato di sangue senza scrupoli. Sicuramente non si può giustificarlo ma, a un certo punto della storia, si può comprenderlo. Billie è un uomo che ha fatto del Marchese De Sade e della sua perversione una incona e un esempio da seguire. Billie ha bisogno del dolore per avere un posto in una società che non gli appartiene. E così tutti gli altri, masochisti, sadici, affetti dalla mania del sesso compulsivo, autolesionisti, borderline e piscolabili che siano hanno bisogno di un riscatto, hanno bisogno di qualcuno che spieghi il perché e che restituisca loro la dignità. Il romanzo si legge velocemente, in barba alla sua consistenza. Lo stile è accattivante, cinico e distaccato, non c’è posto per la dolcezza, per il romanticismo e l’amore. Il dolore trapassa le pagine come spilli appuntiti in una bambolina voodoo, corrode come acido sulla lingua. Lo splatter non manca, così come la freddezza e la suspance. Il quadro appare bianco e sterile come una stanza d’ospedale, l’unico colore è il rosso del sangue rappreso e dell’anima. Se avete amato Uomini che odiano le donne, se anche voi pensate che gli svedesi siano particolarmente abili nel descrivere la bruttezza dell’uomo questo è il libro che fa per voi!