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Recensione | The Imitation Game

Creato il 10 gennaio 2015 da Parolepelate

“Sono le persone che nessuno immagina che possano fare certe cose quelle che fanno cose che nessuno può immaginare”.

Recensione | The Imitation Game

Recensione | The Imitation Game

  • Benedict Cumberbatch
  • Keira Knightley
  • Matthew Goode
  • Realtà storica
  • Tragicità
  • Dolore
  • Alexandre Desplat

 

Eccoli, i giusti ingredienti per un film fenomenale. Drammatico e forte. Forse, non tutti eravamo a conoscenza della storia di Alan Turing, l’uomo considerato il padre dell’informatica, che si mise al servizio del Regno Unito durante la seconda guerra mondiale per decifrare messaggi provenienti dal campo nemico, la Germania.

Tutti forse sappiamo questo, di come Alan Turing, insieme alla sua squadra, abbia aiutato l’Inghilterra a vincere la guerra, a scappare alla morte certa. Pochi, invece, sanno la vera storia di Alan Turing. Processato per la sua omosessualità e costretto a scegliere tra la morte e la castrazione chimica.

Una storia che Morten Tyldum, regista di The Imitation Game, ci racconta, aiutato dalla bravura di Benedict Cumberbatch (da Oscar) e dal resto del cast.

Una scenografia magnifica, un identikit sviluppato su più fronte. La storia di un uomo debole, capace di aiutare e salvare una nazione.

Recensione | The Imitation Game

Tyldum parte narrando l’arrivo di Turing a Bletchley Park, la conoscenza del resto della squadra e della nuova arrivata Joan Clarke, la quale esistenza è quasi del tutto inventata, ai fini della drammaticità della pellicola. Ma Tyldum non si ferma al solo narrare la storia ai tempi della seconda guerra mondiale, ma mette in risalto il passato (l’adolescenza di Turing e il suo primo vero legame) e il suo futuro, il colloquio/interrogatorio con il poliziotto, una scena intensa e colma di identità non dette, di segreti svelati.

La pellicola analizza Turing, nel profondo, dando importanza dapprima al suo essere isolato da tutti e il suo risultare incompreso, per poi focalizzare l’attenzione sul legame silenzioso tra i membri della stessa squadra. Diversi animi, legati da uno stesso scopo: salvare la nazione, salvare un popolo.

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Non mancano le scene ‘divertenti’, un divertente nella sua tragicità. Un sorriso amaro, e a volte sincero.

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Come sempre resto colpita dalla bravura di Keira, qui forse non tutti sarete d’accordo con la sottoscritta. Alla fine di una cosa son certa, la Knihgtley la si ama oppure no. Ma, questa volta, nei ruoli di una donna alle prese con la sua emancipazione, alle prese con un lavoro da uomini, la sua bravura credo sia stata spettacolare.

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Benedict si riconferma ancora una volta un genio della recitazione. Una bellezza interiore ed esteriore. Un volto sul quale scorrono parole silenziose recepite dallo spettatore come lacrime, come gioia.

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Dove saremmo senza Alan Turing? Senza la sua intensa progettazione, senza l’amore per la scienza. Tutto, noi, i nostri computers, esistono grazie all’intervento di Alan Turing e al suo genio.

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In tutto ciò, però, ho mancato di parlare di Matthew Goode. Mea culpa, gente, mea culpa. Un manzo di alta qualità, certo. Ma di reale, in questa pellicola, non vi è solo la sua bellezza, ma soprattutto la sua bravura. Un ingranaggio perfetto nel meccanismo studiato ed elaborato da Tyldum. Ogni membro della squadra di Turing, ognuno di loro ha un’identità, profonda e magnifica.

Detto ciò, date un Oscar a Benedict, il mio dolcissimo Ben. La vera arte della recitazione è racchiusa nei suoi occhi, nella luce particolare dei suoi occhi al momento della decodificazione. Quella è arte, signori.

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Infine, concludo con una semplice frase. Non siate ordinari, non cedete all’ordinario. Siate speciali a modo vostro, sarà la vostra forza.

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Alan Turing morì suicida all’età di 41 anni. Nel 2013 la regina Elisabetta II elargì la grazia postuma per Alan Turing.

 

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