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Recensione: "The Living and the Dead"

Creato il 16 aprile 2015 da Giuseppe Armellini
Questo film fa parte de LA PROMESSA (4/15)
Se non lo trovate posso mandarvelo io senza problemi.
Mi ero perdutamente innamorato di Rumley sin dal suo primo film che mi capitò di vedere, il bellissimo Red, White and Blue, film dalle mille facce, quasi incatalogabile, con quella storia d'amore difficilissima che poi sfocia in una pellicola dalla violenza efferata. E l'atmosfera malsana sì, ma a tratti anche poetica. E le luci poi, vero e proprio punto di forza del giovane regista inglese. Tutte caratteristiche confermate poi dall'episodio di Little Deaths, anche questo una storia d'amore malato che poi esploderà, anche qui violenza ed emozione insieme, anche qui un uso della fotografia fantastico. E poi quel brano che inizia e per 10 minuti non se ne va più, una cosa poche volte vista prima.
Per questo volevo vedere assolutamente The Living and The Dead, a detta di molti il capolavoro di Rumley (in realtà la sua filmografia ha almeno altri 3 lungometraggi, ma pressochè sconosciuti).
E sì, anche qua Rumley lo riconosci subito.
Ed è un'altra splendida pellicola, forse non il film enorme che mi aspettavo ma siamo sempre a livelli molto alti.
Credo che questo regista abbia studiato psicologia o ne sia comunque tremendamente affascinato. In ogni sua pellicola la mente dei suoi personaggi è così importante e caratterizzata che il corpo pare essere quasi una semplice appendice. Rumley sembra volerci raccontare dei punti di rottura, ossia di quelle soglie della nostra mente che una volta superate fanno diventare il nostro Io come un fiume in piena ormai inarrestabile. Lo era già per i protagonisti dei due film citati (sempre uomini, credo c'entri con il sesso del regista), lo è a maggior ragione con James, il giovane protagonista di The Living and the Dead, un giovane ragazzo, figlio di un aristocratico ormai in disgrazia, afflitto da problemi psicologici devastanti, schizofrenico, un malato che cerca in tutti i modi di apparire o sentirsi normale e di manifestare il proprio amore verso i genitori.
Il padre deve andar via per un lavoro e affida la madre allettata alle cure di un'infermiera. Ma James si barrica in casa, vuole essere lui ad aiutare sua madre...
Anche qui abbiamo una prima parte preparatoria ad una seconda in cui il film "impazzirà". Rumley, quasi sempre con inquadrature fisse, racconta perfettamente il luogo in cui si svolge la vicenda, un immenso maniero ora completamente disabitato, a parte i 3 componenti della famiglia. Stanze su stanze, scale su scale, corridoi su corridoi, senso di abbandono e di vuoto. Tutto contrapposto a James, che non sta fermo un attimo, che è sempre in fibrillazione, che non riesce mai a calmarsi ed è costretto continuamente a prender pillole.
Il padre esce, comincia il vero film.
E anche la regia cambia, diventa un'appendice della mente di James, e non solo tecnicamente, con scene distorte e altre accelerate all'inverosimile, ma anche nel racconto, nella sceneggiatura, con una serie di sequenze sempre al confine tra il sogno (a volte esplicito, altre no) e la realtà. Siamo completamente in balia di James anche noi spettatori, e per capire il film abbiamo bisogno di capire lui.
Andiamo avanti e indietro nel tempo e passiamo continuamente da quello che veramente accade a sequenze che altro non sono se non la proiezioni in immagini di desideri e paure del ragazzo.
Il sangue la fa da padrone, e non è affatto secondario come argomento. In certe menti infatti il sangue è elemento imprescindibile, e non solo perchè simbolo del dolore e reificazione del volersi fare male (il ferirsi, vero e proprio rito di alcune patologie mentali) ma anche per un significato quasi opposto, di vita.
Il sangue è simbolo di vita.
Non è un caso che in una bellissima scena (per chi scrive simbolica e non accaduta) James urli alla madre "Sanguina! Mamma sanguina!" perchè per lui l'assenza di sangue significa morte, ha bisogno di vederlo.
Ma del resto lo stesso titolo lo dice, questo è un film di vivi e morti, ma anche di vivi che paiono morti e di morti che sembrano vivi.
L'influsso di Lynch, specie nella scena, quella sì un sogno esplicito, dello strano personaggio che parla (un pò trash, tipo nano di Twin Peaks) e del letto con la famiglia morta, è evidente.
Le grandi sequenze non mancano con, su tutte, il montaggio parallelo tra figlio e padre, in due diverse temporalità, che attraversano gli stessi luoghi, uno con luci calde, il figlio, uno con luci freddissime, il padre, in un luogo ormai definitivamente morto.
Ma anche la scena muta, priva di sonoro, di lui che urla è davvero potente.
Si fa un pò fatica nella prima parte, scandita da tutte routine, sia nei gesti (ad esempio in lui che ogni mattina prende le pillole) che nei dialoghi che nelle stesse inquadrature di Rumley (bellissima però quella col telefono che campeggia in primissimo piano).
Arrivi in fondo e cerchi di rimettere in piedi ogni pezzo, impresa non impossibile tra l'altro. Certo conoscenze psicanalitiche (il film è freudiano come pochi) aiuterebbero ma questo è cinema, ti prendi l'emozione che ti dà e la porti a casa.
Però quando arrivi a questo finale, ripensi a tutto e c'è qualcosa che non torna.
Perchè questo è un film di dolore e violenza sì, ma anche d'amore.
E allora torni alle elementari quando negli schemini dei contrari ti facevano mettere gioia/dolore, fiducia/sfiducia e amore/odio.
In realtà l'amore è l'unico sentimento al mondo che non ha un suo contrario o, se ce l'ha, è già dentro di esso.
Vedi The Living and the Dead e capisci che l'amore è tutto.
Anche disperazione, anche dolore, anche violenza.
E' un dono che ci viene dato, ma anche un'arma.
E bisogna saperla usare per non uccidere.
O per non restarne uccisi.

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