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La Romania non può saperlo ma è ad un anno esatto dal liberarsi del regime comunista di Ceausescu, con quell'immagine indelebile del vecchio dittatore sul balcone che vede la propria fine materializzarsi sotto di lui.
Nevica da far paura.
C'è il derby per eccellenza, Dinamo contro Steaua.
La Dinamo è la squadra della polizia segreta, lo Steaua quella dell'Esercito, controllato praticamente dallo stesso Ceausescu (non a caso il figlio ne era dirigente).
Due facce diverse della stessa medaglia, entrambe comuniste ma divise da una rivalità e un odio radicatissimo.
Di derby se ne sono giocati tanti e questo è soltanto uno tra tutti.
Ma 25 anni dopo il regista Corneliu Poromboiu decide di rivedere la partita insieme a suo padre Adrian. Guardano la partita e la commentano, nient'altro.
I 95 minuti del "film" sono i 95 minuti della partita.
Con una sola particolrità, Adrian Poromboiu era l'arbitro di quella partita.
Comincia così un esperimento cinematografico estremo, sempre che di esperimento cinematografico si possa parlare. Perchè questo non è cinema, e non è nemmeno cinema verità o documentario.
Questa è semplicemente uno spaccato di realtà ripreso in toto, senza montaggio, senza aggiunte, senza prologhi ed epiloghi, e commentato 25 anni dopo.
E questa partita è il pretesto di un padre e un figlio per parlare di calcio, di politica, di neve e di uomini.
Lo spettatore vive una specie di ipnosi, con gli occhi che sono persi in questo manto nevoso dove 22 persone in calzoncini tentano di giocare una partita impossibile e la mente invece che ascolta questi dialoghi improvvisati sopra di essa.
Le immagini sono poi quelli di una vhs di pessima qualità, che si fa fatica persino a seguire il pallone.
Ma restiamo comunque affascinati, rapiti, da questo nulla bianco e da queste voci che dicono tutto e niente.
Siamo negli anni d'oro del calcio rumeno, mi sono addirittura trovato a riconoscere 20 dei 22 uomini in campo. Sono gli anni di Hagi, Lacatus, Petrescu, Balint, Mateut, Lupu, Sabau, Belodedici, Ilie, Stelea, Lupescu, Camataru, Piturca, ovvero tutta la miglior generazione della storia del calcio romeno, da fenomeni veri come Hagi fino a tutti gli altri, come ad esempio i Lupu e Sabau poi visti a Brescia.
E sono tutti lì in campo.
Padre e figlio parlano, parlano di come gli arbitri ricevessero pressioni sia dall'una che dall'altra parte, di come alcuni abbiano fatto anche una brutta fine, di come le partite in Romania fossero quasi tutte decise a tavolino, con lo Steaua che aveva 3,4 squadre satellite vittime sacrificali da battere 2.0 e la Dinamo lo stesso.
Ma quella lì era, sempre, una partita vera, forse fin troppo.
Il figlio fa domande, chiede di tutto, da quanto nevicasse a delucidazione tecniche sull'arbitraggio, chiede se il padre avesse paura, se i giocatori lo minacciavano.
Ed è proprio lui il vero protagonista di tutto, questo ex arbitro dalla profonda intelligenza e dal comportamento integerrimo, questo uomo incapace di aver paura e in grado di sdrammatizzare e minizzare tutto.
Quasi comico l'effetto di sentirlo sempre, ma proprio sempre, contraddire il figlio.
Si parla della regola del vantaggio (che allora non permetteva di tornare poi indietro), di come il campo nonostante tutto fosse praticabile, si parla di politica ma sempre con lo stesso atteggiamento: il passato è passato.
"Il passato è passato" ripete più volte l'uomo, cosa vuoi che interessi a qualcuno di questo video, di questa partita che "e' solo una partita nella neve", cosa vuoi che interessi a qualcuno del calcio che è un prodotto deperibile, lo consumi e due gioni dopo te lo dimentichi.
E intanto tu ascolti e vedi gente correre, fare scivolate, vedi Camataru pieno di sangue che continua a giocare. Vedi quelli che erano giocatori e uomini veri, che facevano risse sì, ma non si permettevano mai di fingere.
E l'arbitro continua a parlare, è orgoglioso di sè stesso, anche dopo 25 anni riconosce di non aver sbagliato nemmeno una decisione in quel match
"E quando ti accorgevi di aver sbagliato ci ripensavi molto?" gli fa il figlio.
"No, l'errore arbitrale è come la morte, se ci pensi allora è finita".
Impossibile date un giudizio qualitativo ad un esperimento del genere, impossibile consigliarlo.
Devi saperti perdere, probabilmente devi anche amare follemente il calcio, devi star là a non veder quasi niente e ad ascoltare due uomini che parlano di un'epoca, calcistica e non, soprattutto non, che non esiste più.
E ad ogni rissa, ogni volta che i giocatori protestavano o cercavano di mettersi le mani addosso, la regia staccava sul pubblico.
Perchè siamo tutti fratelli, siamo tutti compagni, siamo tutti comunisti e non ci mostreremo mai uno contro l'altro.
Ogni rissa e la regia staccava su altro.
Come succederà un anno dopo, nella protesta finale in quella piazza poco prima di Natale.
La regia anche là staccò, non mostrò un popolo che stava esplodendo.
Perchè è sempre dura mostrare la propria fine, o le proprie debolezze, o le proprie contraddizioni.
Sempre meglio far credere che 22 giocatori si sentano fratelli.
Sempre meglio far credere che un uomo con una buffa berretta sia ancora il capo di tutti noi.
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