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Recensione | The Walking Dead 5×14 “Spend”

Creato il 17 marzo 2015 da Parolepelate

L’avevo detto io. L’avevo detto. Non dite che non l’avevo detto.

A, come Atrocità.

Doppia T, come Terremoto e Tragedia.

I, come Ira di Dio.

L, come Lago di sangue.

A, come Adesso vengo e ti spacco le corna.

L’episodio tranquillo della scorsa settimana era per forza presagio di morte e distruzione.

Gabriel, all’inizio dell’episodio, è sembrato sospetto come non mai, intento a fare con la Bibbia quello che io sogno di fare con i libri dell’università (in famiglia già sanno che appena mi laureo, con i libri ci cuocio le salsicce). Certo, potevo immaginare, POTEVO IMMAGINARE, che alla fine dell’episodio avrebbe tradito tutti peggio di Giuda? Cioè, Gabriel, io mi fidavo. Cioè, in verità non proprio, ma non pensavo che fosse così meschino da cercare di mettere Alexandria contro Rick & Co, affermando che sono persone orribili. Tanto più che Rick & Co, pur sapendo quello che Gabriel ha fatto (ha lasciato morire tutta la sua comunità – chi è senza peccato scagli la prima pietra, insomma), ha comunque accolto Gabriel, dandogli una seconda occasione. Uau, ottimo uso della seconda occasione. Spero vivamente che Maggie, che ha sentito tutto il discorso che Gabriel ha fatto a Deanna, gli spacchi la testa con un mattone.

In definitiva: Gabriel c’ha da morì.

Glenn, Tara, Eugene, Aiden e Nicholas escono per andare a prendere dei pezzi di ricambio per l’impianto elettrico. E tutto quello che poteva andare storto va storto.

Ormai ho un sesto senso per certe cose: Eugene e Tara discutono sul fatto che nessuno è pronto a combattere (in questo caso Eugene) fino a che non è costretto a farlo. Quindi è ovvio che succederà qualcosa per cui Eugene sarà costretto a combattere. Quel qualcosa è un trauma cranico ai danni di Tara, che permette a Eugene di “darsi una svegliata”, al punto da salvare la situazione.

Beh, situazione salvabile nei limiti del possibile. Per Aiden, per esempio, le circostanze sono parecchio disastrose. Peccato, proprio ora che iniziava a starmi simpatico. Chiariamoci, non simpatico simpatico, ma il fatto che, all’inizio dell’episodio abbia riconosciuto “l’autorità” di Glenn (che consigliava, contrariamente a quanto lui aveva appena detto, di controllare le tutte le uscite) mi aveva fatto ben sperare: ce l’avevano presentato come un cazzone arrogante, e quella scena mi ha fatto pensare che poteva trattarsi di un personaggio con margini di miglioramento. Solo, è morto prima che il miglioramento potesse iniziare. Ora, pare proprio che niente ti faccia diventare onesto quanto stare sul letto di morte (o, nel suo caso, sul paletto di morte): è questo il momento in cui confessa a Glenn che la morte di quelle persone menzionate due episodi addietro era colpa sua e di Nicholas, che si erano fatti prendere dal panico e non avevano saputo gestire la situazione.

Nicholas, infatti, non ha proprio l’aria di uno che sappia gestire le emergenze. La sua è una filosofia che può riassumersi in una marchesata del Grillo, cioè nel “io sò io, e voi non siete un cazzo”, nel senso che, per Nicholas, l’unica persona che conta è proprio Nicholas. Tre sono i codardi a questo punto di The Walking Dead: Eugene, Gabriel e Nicholas. Solo il primo è stato in grado di riscattarsi, mentre gli altri hanno deciso di sguazzare nell’indegnità. Non so quali saranno le ripercussioni del gesto di Gabriel, ma per quanto riguarda quelle di Nicholas (l’aver abbandonato gli altri per mettersi in salvo), il risultato è stata la morte di Noah.

Io sono sconvolta. Di più, sono così sconvolta, che perfino il mio sconvolgimento è sconvolto. Povero, povero Noah, che fine orribile. E Glenn, che ha assistito, probabilmente finirà in terapia per i prossimi otto anni. Io gli faccio compagnia.

In definitiva: Nicholas c’ha da morì.

Carol è di nuovo alle prese con Sam, il bambino che l’ha vista rubare le pistole. Fa stranissimo vederli interagire, perché questa Carol alexandrina sembra proprio aver messo lo spirito materno in stand-by. Fino al momento in cui si rende conto che Pete (il padre di Sam e il marito di Jessie, nonché viscidone patentato, almeno così sembra), picchia la moglie e, probabilmente, anche il bambino. È ovvio che Carol – considerati i suoi trascorsi – non possa (né riesca) lasciar correre una situazione del genere, al punto da dire a Rick che la cosa potrà finire in un solo modo.

In definitiva: Pete c’ha da morì.

Abraham sembra proprio aver trovato uno scopo, dopo quel momento di assoluto sconforto causato dal fatto che Washington non esiste (ok, esiste, ma non come la intendeva lui), e dal fatto che Eugene l’aveva preso in giro tutto il tempo. Uscito con altre persone di Alexandria per fortificare/costruire le mura, ben presto di quel gruppo si trova ad esserne il “leader” senza macchia e senza paura. Attaccati da un gruppo di zombie, infatti, Abraham fa la scelta altruistica di aiutare tale Francine, che gli altri avevano deciso invece di abbandonare a se stessa, in accordo al “sistema” che vige ad Alexandria

- È così che fate voialtri? Abbandonate la gente a morte certa?

- Abbiamo un sistema. Diglielo, Francine. Abbiamo…

Esattamente, il sistema di Alexandria è quello di abbandonare la gente, Nicholas ce ne ha dato prova inequivocabile. Mentre Glenn e Noah cercavano fino all’ultimo di aiutare Aiden, lui l’aveva già condannato. E mentre Glenn e Noah cercavano fino all’ultimo di trovare una soluzione per uscire dalle porte girevoli attorniate dagli zombie, lui aveva già deciso di salvare (solo) se stesso.

Propongo un programma rieducativo per quelli di Alexandria: guardare Lilo & Stitch e scrivere cento volte Ohana vuol dire famiglia, e famiglia vuol dire che nessuno viene abbandonato, o dimenticato.

O squartato dagli zombie nelle porte girevoli.

Meno due episodi al gran finale. È il momento buono per farsi prendere dal panico.



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