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Recensione: Tutto torna di Giulia Carcasi

Creato il 18 gennaio 2015 da Coilibriinparadiso @daliciampa

Finalmente riesco a pubblicare la recensione di cui vi stavo parlando da secoli :D
Buona lettura!

tuttotorna

  • Titolo: Io sono di legno

  • Autore: Giulia Carcasi

  • Casa Editrice: Feltrinelli
  • Data pubblicazione: Novembre 2010
  • Pagine: 122
  • Genere: Romantico
  • Trama: Diego lavora alla revisione di un vocabolario. Nei barattoli delle parole chiude tutto quello che riesce a definire. È pratica che gli viene naturale anche nella vita. Cataloga ogni istante: luogo data ora. In uno dei suoi continui spostamenti tra Roma e Pisa, dove insegna, il treno si ferma in galleria per un guasto, le luci si spengono. Nel buio Diego sviene. Una voce arriva lontanissima a tirarlo fuori dalla vaghezza: Antonia. Ieri diventa oggi e domani ieri, l’ordine e la memoria di Diego si allentano. È come se Antonia ci fosse sempre stata eppure non c’era. La loro è una storia d’amore che vuole la perfezione. Più sono vicini, più forte è il rischio che il cerchio si spezzi. Basta una menzogna. Contro ogni logica, l’inganno si rivela più forte della verità e la verità più forte dell’inganno.

Opinione personale:

Il ritardo con cui pubblico questa recensione non è del tutto casuale o del tutto dovuto a me. Ciò di cui avevo bisogno era di un po’ di più di tempo, perché le riflessioni che avevo lasciato in sospeso erano tante. Fin dall’inizio ho trovato lo stile della Carcasi molto cambiato: mentre nei suoi due libri precedenti c’era quel coinvolgimento, dovuto al fatto che in ogni frase c’era l’anima dei personaggi, in Tutto torna, ho percepito un distacco, un’atmosfera strana, come di irreale. È difficile da spiegare: lo stile rimane particolare, ma in un modo diverso, quasi opposto, conservando l’unico particolare della poesia, della bellezza delle immagini che suscita. Per il resto cambiano le sensazioni che ho provato leggendo. Sarà che Diego è una persona particolare, sarà che è distaccato e le parole riflettono proprio quello. 

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Ad ogni modo, non so se per questo motivo, non mi sono appassionata alla storia così facilmente: nonostante il libro sia breve, molto breve, non l’ho letto poi così velocemente. Se non nell’ultima parte. 
Diego è un professore universitario romano a Pisa, è preciso, categorico. Lavora alla stesura di un vocabolario. Sua mamma è malata, non ricorda le cose, non ricorda il suo viso. Non ricorda il suo nome. Lo chiama Roberto. (E io dopo 120 pagine mi chiedo ancora chi sia Roberto.) Conosce Antonia sul treno. Antonia vive a Pisa, ma lavora a Roma in un centro di recupero dalle dipendenze. Sua madre è morta quando era piccola. Ha tante storie da raccontare sugli altri, ma nessuna su di sé. Si innamorano. Nonostante siano così diversi, nonostante lui stia con i piedi ben saldi a terra mentre lei annaffia piante finte con la madre di lui.

Adesso so che non esistono cose che non vanno. Le cose tutte, anche quelle che si tengono in pugno, vanno come devono andare, il problema è imparare ad aprire le mani.

E il loro amore è ciò che colora il libro. Quella forza che spinge Diego a chiedersi se lei non ci sia sempre stata. Perché il presente riscrive il passato. Perché sembra non esserci altro di importante all’infuori di lei. Sembra quasi tutto un gioco di memoria. Di passato e presente che scompaiono e si fondono.
Tutta la prima parte sembra un po’ sospesa: spezzoni di ricordi d

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a un anno all’altro, da un giorno all’altro, con la data in alto a destra. È stato qui che mi sono un po’ scoraggiata. Ma poi c’è il colpo di scena. Piuttosto verso la fine. Ecco lo spoiler ce l’avrei sulla punta della lingua, ma ve lo risparmio.
Il vero dilemma, quello che mi ha impedito di di scrivere questa recensione è uno: è giusto perdonare qualcosa di enorme in una relazione, semplicemente in virtù dell’ipotetico amore reciproco? Senza una prova, quando il torto subito è ormai assodato? È giusto non solo mettere da parte l’orgoglio, ma anche far capo a tutta la fiducia di cui si è capaci, solo per non avere rimpianti? E se non fosse possibile, se fosse troppo difficile?
Nel libro si porrà questo problema. E ho cercato di evitare qualunque indizio concreto. Ma la Carcasi scrive un finale da brividi. Mi ha piantato un chiodo fisso nella mente. I rimpianti li ho sentiti anche io, forti, crudeli. Ma quale sarebbe stato il prezzo?
Probabilmente vi sto confondendo. Leggetelo. È un tema delicato e difficile, e la prima parte forse è un po’ pesante, anche se è questione di gusti. Ma leggetelo. C’è poesia. E c’è verità nuda e cruda, quasi cattiva.

Sei proprio certa di non essere capitata a Roma prima di quest’anno, di non aver avuto, che so, un’amica delle vacanze che venivi a trovare il fine settimana, di non esserti imbucata a una festa, di non aver parlato con me a lungo in balcone, fumando una sigaretta, un colpo di tosse e un tiro a testa, di non aver pensato quella sera incontrandomi che Dario Malagò non era poi così speciale, che c’era chi non guardava le tette, di non esserti accorta, appena siamo tornati in sala, che anch’io le guardavo?
Mi avevano detto che il passato condiziona il futuro, ma non mi avevano detto che vale anche il contrario: il futuro riscrive il passato, come l’ultima pagina di un romanzo trasfigura tutto quello che è stato letto a tal punto che a volte è necessario rileggere. Stai riscrivendo il passato, Antonia, sei arrivata e ci sei sempre stata.

Il mio voto:

cuoricino-piccolino (106x95)
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L’autrice:
Giulia Carcasi: nata nel 1984, è giornalista e scrittrice. Durante gli studi in Medicina ha esordito con Feltrinelli pubblicando il romanzo Ma le stelle quante sono (2005), a cui seguiranno Io sono di legno (2007, premio Zocca Giovani), Tutto torna (2010) il racconto Perché si dice addio (2012).


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