siamo a metà ottobre, gli studenti sono tornati a scuola e anche l’editoria italiana in questo periodo idealmente “torna a scuola”, proponendo titoli a tematica – e di ambientazione – scolastica. Scuola amata, scuola odiata, studenti che “fanno la ola mentre si spiega”, dolci maestri innamorati della loro “missione” e professori “carogna”: pamphlet, stupidari, dichiarazioni d’amore, ogni anno le librerie italiane rigurgitano decine di pubblicazioni a tema, anche perché i professori (come questo romanzo conferma anche nel suo intreccio) sono uno zoccolo duro di forti lettori e naturalmente anche di feroci scrittori. Professori che scrivono innanzitutto per la propria categoria, che spesso se la cantano e se la suonano (chi vi scrive è un’aspirante prof, per cui non fa eccezione). In che cosa il libro oggetto della recensione, da poco uscito per Rizzoli, fa eccezione rispetto a Oggero, Mastrocola, Starnone & Co.? Tra poco lo scoprirete.
RECENSIONE Ho comprato questo libro a scatola chiusa, cosa che non faccio praticamente mai: questo perché i precedenti del professor Perboni (pseudonimo di deamicisiana memoria, autore del lucidissimo diario Perle ai porci, una delle più graffianti, convincenti– e meglio scritte – pubblicazioni a tema scolastico che abbia mai letto) me l’hanno quasi imposto. E non sono rimasta delusa: questo romanzo è una bomba ad orologeria, che si legge in un paio di giorni nonostante la mole non proprio magrolina. E non è la solita storia di affinità elettive tra professori “capitano mio capitano” e studenti “bianchi come il latte e rossi come il sangue” cui il panorama italiano contemporaneo ci ha abituato (penso alla Mastrocola, a D’Avenia e a tutti i loro epigoni), ma non è neanche il giallo scolastico “alla Oggero”, come la trama della quarta di copertina potrebbe far presumere.
Una scuola come tutte le altre – titolo poco calzante, che non rende giustizia allo scoppiettante contenuto – è la storia di un anno scarso di vita, fuori e dentro i banchi, di un liceo scientifico di provincia dove un disilluso professore di inglese a tempo perso (e durante i collegi docenti) traduce anche per una rinomata casa editrice. Questo espediente mette in moto uno dei più riusciti meccanismi del romanzo: fare in modo che gli altri professori della scuola, tutti autori di dimenticabili romanzi e sillogi poetiche inedite, vadano in processione dal nostro protagonista pietendo raccomandazioni per far arrivare i loro obbrobri sulle scrivanie di importanti editori. Questo andare e venire di manoscritti, che il protagonista mortifica con lettere di risposta fasulle (che dal ridere vi causeranno convulsioni), scandisce il cadenzato dipanarsi di consigli di classe, interrogazioni, confessioni, imminenti cause di divorzio (il prof è attaccatissimo alla figlioletta e in crisi profonda con la moglie) e relazioni extraconiugali. Finché non ci scappa il morto, nella persona del promettente secchione Baroncini, che, pochi giorni prima di schiantarsi in un sospetto incidente di moto, ha anche lui consegnato al nostro professore un inquietante manoscritto dove forse è celato il mistero della sua scomparsa.
Queste poche righe, cui altro non aggiungo, bastano a raccontarvi quando questo romanzo sia profondamente variegato e particolare: una storiaccia di provincia dai risvolti grotteschi e con tinte nere che sfiorano l’underground (i personaggi sono tutti – e dico tutti – degli esseri spregevoli che non si vergognano di esserlo), un giallo dai risvolti imprevedibili, una critica spietata del mondo degli scrittori esordienti, una catena di eventi di disamore e amarezza, un racconto ambientato in una scuola tanto corrottamente inverosimile da sembrare vera.
Un appunto che si potrebbe fare alla struttura è che non tutti i siparietti che vedono il protagonista mettersi a confronto, faccia a faccia, con i vari personaggi (il fratello nullafacente, il professore di religione sessuomane, l’amico millantatore…) sono funzionali alla trama, tuttavia… sono tutti talmente spassosi, che trovano già solo in questo una loro ragion d’essere.
Piangerete dal ridere e alla fine riderete per non piangere: consigliatissimo.