Recensione: Whiplash
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E’ molto difficile parlare di Whiplash di Damien Chazelle. E’ molto difficile perché è un film che stupisce per come si presenta, per la sua genuinità narrativa e visiva, per la sua brillante sceneggiatura, per i suoi vulcanici e travolgenti attori protagonisti. La potenza di questa preziosa pellicola risiede proprio in questo, nel farsi apprezzare non per un mero e sterile moralismo excipitario, bensì per un incalzante e sensazionale flusso di musica e immagini che assedia ferocemente le fragili mura sanguigne del cuore di ogni singolo spettatore.
Difatti, se ci soffermassimo ad analizzarne esclusivamente la trama, quest’opera artistica probabilmente risulterebbe abbastanza canonica. Andrew (Miles Teller) è un giovane bat-terista jazz che, per diventare il migliore della sua generazione, frequenta lo Shaffer, il conservatorio di Manhattan, martellato dai continui e roboanti rimproveri dell’insegnante Terence Fletcher (J. K. Simmons). Ci troviamo, dunque, nuovamente di fronte all’ormai abusato rapporto tra maestro e allievo e a una storia incentrata sui sogni di un adolescente e sul complicato percorso che deve compiere per almeno tentare di realizzarli. Dal punto di vista narrativo, Whiplash non ha niente di più di quanto non avessero già Boyhood o Foxcatcher (per citare due film recenti sulla bocca di tutti).
Tuttavia, il valore aggiunto di Whiplash sta nella sua spontaneità, nel suo ritmo serrato, nel fatto di essere un cocktail di immagini, musica e recitazione sull’esistenza terrena di un adolescente in cui ognuno di noi, musicista o non, può identificarsi almeno per un istante. Pur io, sebbene non sia un esperto musicale né tantomeno un batterista, sono riuscito a immedesimarmi nelle ambizioni di Andrew, nei suoi sforzi, nei suoi pianti, nei suoi silenzi e nelle sue grida di disperazione, ma soprattutto nelle sue ferite e nei suoi cerotti sulle dita, metafora più o meno esplicita atta a simboleggiare gli incidenti di percorso che la vita, in quanto tale, gentilmente e costantemente ci offre in dono.
Se questo film è un brillante capolavoro, è anche merito delle strabilianti performance di Miles Teller (The Spectacular Now), che sprigiona una tuonante furia nel rullare la batteria, e, in particolar modo, da Jonathan Kimble Simmons, che, come Michael Keaton in Birdman, non vedevo così in forma da molti anni. La sua interpretazione, che ricorda, volutamente, quella di Ronald Lee Ermy nei panni del sergente Hartman in Full Metal Jacket, è metamorfica e isterica nel suo essere così fluidamente versatile. Comprendo finalmente il motivo per cui il buon vecchio Simmons ha fatto incetta di premi come miglior attore non protagonista. Dopo aver vinto ai Golden Globes, ai British Academy Film Awards, ai SAG e ai Critics’ Choice Movie Award, sono quasi certo che la sua prossima vittoria sarà proprio il premio Oscar. Non ci metterei la mano sul fuoco, ma quasi.
Che dire, io mi sono affezionato a Whiplash, un film modesto, senza pretese, in grado, però, di emozionare in una maniera del tutto originale. Sicuramente è il mio film preferito agli Oscar. Sicuramente non vincerà come miglior film. Nonostante ciò, vi consiglio caldamente di andare a vedere al cinema questa pellicola, spettacolo per gli occhi, musica per le proprie orecchie e, soprattutto, cibo per la mente e per il cuore.
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