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Recensioni dal teatro: "centocinquanta la gallina canta", prova di maturita' della kitchen company
Creato il 03 giugno 2014 da CarlocaMettere in scena Achille Campanile non è cosa facile. Si tratta, anzi, di un azzardo colossale, un autentico salto nel buio. Perché i testi di Campanile sono materia da maneggiare con estrema cura: creazioni geniali, impastate di una comicità mai sguaiata, bensì fine, arguta, in punta di battuta, ironia mai banale ma, quasi sempre, col prezioso dono dell'immediatezza. Una comicità che, a volte, rischia di apparire sorpassata, eppure anche nel 2014 è in grado di mantenere intatta la propria freschezza, la propria esplosività, se portata sul palco di un teatro con tutti i crismi e il rigore necessari. Ecco: rappresentare il teatro dell'eclettico autore romano è un'impresa che può riuscire solo ad attori collaudati, preparatissimi, ispirati e anche un po' folli. E un pizzico di sana follia, chi segue Note d'azzurro lo sa, non manca di certo ai ragazzi della The Kitchen Company, che la scommessa Campanile l'hanno affrontata con supremo sprezzo del pericolo e consapevolezza nei loro mezzi, e alla fine, ebbene sì, l'hanno vinta. "Centocinquanta la gallina canta", l'allestimento TKC da qualche settimana in scena al Teatro della Gioventù di Genova, può essere considerato una riuscita prova di maturità della giovane compagnia. Si tratta di uno spettacolo - summa dell'opera di Campanile: tante rappresentazioni in una, dalle "28 tragedie in due battute" a "Delitto a Villa Young", passando per il "Festival della canzone napoletana", "Visita di condoglianze" e "Acqua minerale". Una messa in scena non facile da digerire, perché lunga e perché estremamente composita, come si è visto. Ci sono le freddure, le battute "one shot" (però modellate secondo i canoni novecenteschi, tutt'altra cosa rispetto ai modelli odierni in salsa zelighiana) in stile vagamente british, e ci sono vere e proprie mini - commedie a lungo respiro, con una trama fatta e finita; ma la vera complessità di Campanile, forse, emerge soprattutto in "Acqua minerale", un memorabile esercizio di stile sulle inesauribili potenzialità della lingua italiana, fra giochi di parole, significati molteplici, dubbie interpretazioni etimologiche: elegante, arguto, in estrema sintesi "colto", eppur divertente e a tutti accessibile. Non facile legare in un insieme questo caleidoscopio creativo, ma Eleonora D'Urso e compagni ci riescono, con una partenza "diesel" e con una progressione costante, fino a una completa e liberatoria deflagrazione di allegria e ilarità. In particolare "Festival della canzone napoletana", "Acqua minerale" e "Visita di condoglianze" si stagliano sopra tutto il resto: tempi comici perfetti e recitazione impeccabile, con punte di eccellenza da parte della stessa D'Urso, che in "Festival" ha l'occasione di dare sfogo a tutta la sua prorompente napoletanità, ma anche di Giovanni Prosperi, una maschera di devastante espressività, e Marco Zanutto, il... pulcino nero di questa compagnia di fanciulli giovani e affascinanti, una sagoma che, come caratterista, avrebbe fatto la fortuna di tante commedie leggere del cinema italiano anni Settanta - Ottanta: fenomenale, in "Visita di condoglianze", in una inquietante versione en travesti. Sempre impeccabile Daria D'Aloia, ed eccellente la prova di Marisa Grimaldo, che impreziosisce le "28 battute" fungendo da didascalia vivente, introducendo e illustrando, con brillantezza e favella fluente, i brevi siparietti che si susseguono a ritmo vertiginoso. "Centocinquanta la gallina canta" è anche un allestimento esemplare, o meglio illuminante: si sa che ormai, in molti settori dell'arte, da inventare c'è ben poco, ma certi sketch di questo spettacolo ne richiamano immediatamente alla mente altri, più moderni, messi in scena da comici del presente o di un passato molto vicino. Del resto, Campanile è stato e continua ad essere un maestro, e come tale vanta tanti imitatori o, più semplicemente, in molti continuano ad abbeverarsi ai suoi testi trovandone inesauribile ispirazione. La grandezza di un autore si vede, del resto, anche da queste cose: continuare a risultare attuale e contemporaneo anche a distanza di decenni. Certo, poi occorre trovare attori e registi in grado di tradurre questa contemporaneità in fatti concreti: la The Kitchen Company c'è riuscita, superando l'esame più difficile.
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