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Recensioni discografiche: "made in london", l'easy listening di noemi
Creato il 11 aprile 2014 da CarlocaSe il rinnovamento e il rilancio della musica italiana passano anche da una riscoperta della semplicità, intesa soprattutto come orecchiabilità delle proposte, di questo rinnovamento Noemi può essere a buon diritto considerata come una delle più convincenti e lineari portabandiera. Il suo album post Sanremo "Made in London" è il manifesto di una certa nouvelle vague in parte ancora grezza, da smussare in diversi angoli, eppure già emblematica della strada che dovrebbe intraprendere la canzone nostrana. La rossa cantante romana ha ormai sposato una linea artistica ben precisa: del resto lo si era già intuito un paio di anni fa, quando sul palco dell'Ariston lanciò "Sono solo parole", ossia il classico motivo tormentone dal ritornello martellante, per quanto ammantato di una veste discretamente sofisticata, una di quelle canzoni che ti si piazzano in testa e ci rimangono anche a distanza di anni. "Made in London" prosegue nel solco di quella felice hit del 2012. Con più consapevolezza compositiva, almeno in parte, di certo con maggior ricchezza negli arrangiamenti, ma il tratto distintivo è quello. Easy listening rielaborato in chiave contemporanea, pezzi da classifica senza pretese intellettualoidi. C'è bisogno di vera musica leggera, di cantabilità, e Noemi ci prova, in questo disco, spesso con risultati apprezzabili. Durante l'ultimo Sanremo avevo scritto di "Bagnati dal sole", il brano con cui era giunta in finale alla rassegna rivierasca: struttura essenziale e anomala per le nostre abitudini, strofa brevissima e ritornello lungo, invasivo, accattivante. Ecco, era l'esaltazione all'ennesima potenza del pop da primo ascolto, di ciò che si può comunque ritrovare in larga parte delle tracce del nuovo cd, che non a caso si apre "col botto", ossia con due brani, "Acciaio", e "Sempre in viaggio", dalle devastanti potenzialità radiofoniche: probabile che fra questi venga scelto il prossimo singolo da estrarre, con personale preferenza per il primo dei due. La full immersion londinese alla base della nascita di quest'album, in tutta sincerità, non ha portato novità sconvolgenti, se non, appunto, una più marcata aderenza ai canoni stilistici che caratterizzano molti dei grandi successi internazionali d'oggidì: in particolare, massiccio, onnipresente, è il ricorso ai cori "trascina platea", di quelli costruiti apposta per creare coinvolgimento collettivo nei momenti caldi dei live. Una internazionalizzazione che però non significa negazione delle radici musicali italiche: la citata Noemi di "Sono solo parole" fa ancora capolino, soprattutto in brani come " Se tu fossi qui" e "Alba": più tradizionalmente melodico il primo, che sarebbe stato adatto per un Festival di Sanremo da affrontare senza rischi e senza pretese "sperimentalistiche", più etereo e rarefatto il secondo, nel quale oltretutto Veronica cerca di esplorare nuovi orizzonti vocali, toccando registri più soffusi. Atmosfere vagamente retrò possono ritrovarsi anche in "Passenger", esperimento in lingua inglese dall'arrangiamento scarno, di natura prettamente orchestrale, mentre le potenzialità soul - jazz - funky della cantante emergono appieno in "Don't get me wrong", la traccia più... saporita, per ritmo e sonorità, dell'intero album. Qualche episodio meno convincente nella seconda parte del disco, dove, a parte la già menzionata "Alba", riemerge dall'anonimato sanremese "Un uomo è un albero", dalla costruzione non banale. In tutte le tracce, anche in quelle meno riuscite, emerge il pregio di aver trovato la formula per l'impatto immediato. La voce calda di Noemi mantiene intatto il suo fascino, ma la sensazione è che non sia stata ancora utilizzata al 100 per 100 delle sfumature, mentre c'è senz'altro da lavorare sui testi, decisamente poco elaborati, tanto da dare, a volte, la sensazione di avere secondaria importanza rispetto all'impianto musicale, quasi fungessero da semplice riempitivo: non si pretendono elucubrazioni tipiche di certo pretenzioso cantautorato, ma qualcosa di meglio di versi come "non vuoi sentirti fragile, non vuoi sentirti mai" (ma che significa, oltretutto, "non vuoi sentirti mai?) dovrebbe essere alla portata. Resta un album da chart, e resta la convinzione che l'esplosione di artiste come Noemi (o come Mengoni, ma qui si sta parlando della "rossa" Veronica) da sola basti a legittimare l'esistenza dei tanto discussi talent show.
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