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- Pubblicato Thursday, 06 November 2014 10:00
- Scritto da Alessandra Sorvillo
“Libera i cani” di Veronica Tomasiello è il primo volume della serie "Infernal Beast" della Dunwich Edizioni recensito oggi da LetteraturaHorror.it. Leggi trama e note sull'autore e sul progetto Infernal Beast
Ai fan della serie animata I Simpson l'ingiunzione "Libera i cani!" sicuramente ricorderà la perfidia sconfinata del personaggio di Montgomery Burns; agli appassionati di letteratura horror - purché si tratti di un horror comunque venato di distopia - da oggi ricorderà il racconto di Veronica Tomasiello, per l'appunto intitolato Libera i cani, in uscita a ottobre per Dunwich Edizioni.
Più che delle affettuose bestiole che normalmente si identificano con i migliori amici dell'uomo, l'originale novella vede la partecipazione di terribili ibridi, risultati di un Virus che imperversa sulla Terra e che procura agli infettati le fattezze deformi di in un incrocio fra più specie animali, fino a cancellare del tutto nelle vittime ogni dettaglio antropomorfo. L'avvento del Virus segue a quello di una Pioggia di meteoriti scatenatasi diverse decadi prima, e responsabile del tracollo economico, sociale e tecnologico del mondo in cui Dana, la mostruosa protagonista, vive ed agisce: all'elettricità si è sostituita la forza del vapore, la povertà dilaga, ogni culto religioso che non sia quello perverso dei Ribelli è stato spazzato via.
In questa parvenza di ritorno all'antichità persino i divertimenti sono quelli di un tempo, con la differenza che nelle arene della Tomasiello si scontrano non più gli schiavi convertiti in gladiatori che agitavano le polveri del Colosseo, ma gli ibridi infettati, la cui schiera si divide implacabilmente in vittime della lotta o in Cacciatori asserviti ai Padroni: unica pedina fuori posto - e al contempo unico anello di congiunzione tra oppressi ed opprimenti - è proprio la figura ferina di Dana, in realtà grosso rischio di scompiglio per l'equilibrio malsano su cui la società ormai regge, e per questo destinata a diventare preda da spartire tra vari pretendenti.
L'interesse del racconto è tutto racchiuso nel punto di vista insolitamente rovesciato a favore dell'ibrido, modo efficace per mettere in discussione il concetto stesso di normalità, comunemente contrapposto in maniera piuttosto netta a quello di bizzarria o deformità. La riflessione dell'autrice pare avere radici molto lunghe, affondanti nelle speculazioni degli antichi su concetto di mostruosità, a partire da Omero sino a Sant'Agostino, Plinio e infine Dante Alighieri; meditazioni queste sicuramente molto corpose, a giudicare dall'incredibile diffusione che nel Medioevo ebbero i Bestiari, opere enciclopediche dedicate alla descrizione - sovente accompagnata da figure piuttosto intriganti - di animali mitologici e non, tra cui si ricorda il celeberrimo Liber Monstrorum, risalente al VIII secolo.
Che queste riflessioni provenissero da autori pagani piuttosto che da autori cristiani è in verità irrilevante, perché in ambo i casi l'esito più comune della questione consisteva nel riconoscimento del mostro come esempio dell'onnipotenza divina: che Dio avesse voluto mettere alla prova la fede dell'uomo, che avesse semplicemente lanciato un monito all'umanità, o che piuttosto avesse soltanto voluto manifestare la propria autorità, la ragione dell'esistenza del mostro andava comunque ricercata al di là delle nuvole, nelle ragioni inspiegabili dell'agire soprannaturale; esattamente come suggerito dall'etimologia del termine (dal latino monstrum, a sua volta da monere, cioè avvertire).
Con non poco estro artistico, l'autrice si riallaccia a questa tradizione spingendo tuttavia il lettore a ripensare al concetto di ibrido, e di conseguenza a mettere in discussione l'idea stessa di normalità.