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Sembrava che non ce l'avrebbero mai fatta ad uscire dalla serie B di americana ed invece dopo otto album i texani Reckless Kelly hanno messo a segno il loro album migliore, un album suggestivo fin dalla copertina dove si respira il senso dei grandi spazi americani, il mistero di una wilderness capace di far scrivere ballate aspre e struggenti come Long Night Moon, un pezzo che da solo è in grado di fissare un immaginario.
Si sono messi insieme a Bend nell'Oregon centrale prima di traslocare, nel 1996 ad Austin, i Reckless Kelly, per volontà dei fratelli Cody (violino, mandolino, chitarre, voce, percussioni) e Willy Braun (voce, chitarre, armonica), i quali dopo l'esperienza con la family-band di Muzzie Braun and The Boys hanno raccattato un paio di amici ( tra cui il batterista Jay Nazz) e per vincere la noia (e rimediare qualche ragazza) si sono messi a suonare il country sentito nei dischi del padre con l'attitudine delle giovani grunge band del nord-ovest americano. Ne è nato un country-rock bastardo, pregno di umori e rabbia punk ma attinente con la musica di famiglia. Il loro debutto, Millican (1998), fece scalpore portandogli i favori di gente come Todd Snider, Joe Ely e Robert Earl Keen ma poi strada facendo, causa anche i continui cambi di formazione, la band ha perso smalto e originalità attestandosi su uno standard dignitoso di country-rock e honky-tonk chitarristico, una delle tante espressioni di americana, onesta, sincera, energica dal vivo ma non in grado di elevarsi sopra la media. Non hanno insomma avuto la stessa fortuna dei colleghi Drive By Truckers, per certi versi somiglianti nel mischiare energia rock e tradizione .
Il contratto nel 2010 con la Blue Rose per la distribuzione europea dei loro dischi, ha smosso le acque, prima Somewhere In Time e soprattutto adesso Long Night Moon, dicono che i Reckless Kelly non sono ancora al capolinea. Con Joe Miller al basso, il fedele Jay Nazz alla batteria e David Abeytan alla lap steel, i fratelli Braun hanno ritrovato nuova linfa e l'ispirazione per scrivere e cantare belle canzoni che si pongono a metà strada tra la ballata evocativa e le unghiate elettriche di un rock da roadhouse, con diverse escursioni nei territori di un country-western per solitari e sognatori dove la lap steel incornicia paesaggi di un'America di provincia e di polvere immutata nel tempo.
Long Night Moon gode di un suono essenziale ma non semplicistico, le chitarre trainano la diligenza, la voce di Willy Cody ricorda quella di Steve Earle, è disperata e ha la forza di raccontare un'altra storia di rabbia e malinconia, è un rock di strada arruffato ma attento alla melodia e a precisi dettagli sonori, le tastiere, quando ci sono, spingono, come in The Last Goodbye verso la solare California dopo che un pugno di ballate dai toni ruvidi e scorbutici, scolpite nella quercia, contrappuntate da una fisarmonica, da un violino, da una lap-steel, accompagnano l'ascoltatore nei luoghi oscuri di un'America ben più profonda ed arcaica, legata ai riti di una notte di luna.
Inizia con Long Night Moon la cavalcata di Reckless Kelly, nome rubato al celebre fuorilegge australiano, e si conclude dopo dodici tracce (nell'edizione europea c'è la bonus track Any Direction Frm Her) in Idaho, brano folkie con echi di gotico rurale americano, una cavalcata tra chitarre twang e roots n'roll, tra murder ballads e bachpork country rock, tra luce e buio, tra strumenti elettrici e corde acustiche, tra storie d'amore e d'amicizia non sempre felici, uno scampolo di sopravvissuto american dream senza enfasi e liturgie da vincitori
MAURO ZAMBELLINI NOVEMBRE 2013
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