
Una sintonia che unisce i due franchise non solo per quelle che sono le fondamenta maestre ma che si dilata fino alla loro impostazione cinematografica, toccando anche modello di ricezione e composizione, quella di action scanzonato e (auto)ironico che mira a onorare il genere e a non prendersi mai troppo sul serio sfruttando l’età avanzata dei vari protagonisti. Caratteristiche, queste, che con il passaggio di Dean Parisot alla regia si fanno ora decisamente più nette e distinguibili, poiché, rispetto al primo capitolo diretto da Robert Schwentke, “Red 2” abbraccia con tutto se stesso l’opzione (azzeccata) di puntare molto più sulla veste comica piuttosto che sulla sua componente spy-thriller (che comunque non disdegna minimamente). Aver drizzato la mira, e sistemato quindi uno dei punti deboli che più ne avevano penalizzato l’andatura in passato, è senz'altro il passo avanti più efficace che la pellicola riesce a compiere con il sequel, insieme alla decisione di assegnare al personaggio di Mary-Louise Parker uno spessore più rilevante e di rendere l’irresistibile John Malkovich un potentissimo centro di risate.

Pur avendo perfezionato quelle che erano state le pecche più dannose del primo “Red” la sensazione tuttavia è che il processo di affinamento non sia per niente terminato e che la frasetta magica missione compiuta viaggi ancora piuttosto lontana. Il sarcasmo su cui Parisot ha poggiato i toni leggeri del suo film vive spesso di troppa fiacca per reggere da solo e colpire ad effetto (discorso a parte per Malkovich), manca di quel lavoro compiuto proprio da Sylvester Stallone tra il primo e il secondo capitolo de “I Mercenari”, in cui è riuscito a trovare la chiave di volta assestandosi in maniera impressionante ed aggressiva.
Ciò nonostante, “Red” non ha la minima intenzione di abortire la sua missione e pertanto possiamo ancora sperare in quel secondo passo avanti, magari definitivo.
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