Il dualismo tra spirito rock e influenze metal più spiccate è sempre stato evidente nei dischi dei Red Fang, una band a cavallo tra mondi che sì, possono senza dubbio incontrarsi e integrarsi, ma che tuttavia spesso impiegano soluzioni, stili e concezioni musicali che difficilmente riescono a convivere in tutta serenità, senza sforzo.
Whales And Leeches, in questo senso, doveva forse essere l’album della svolta, della maturazione definitiva. Il gruppo poteva decidere di seguire tanto la spensieratezza festaiola dell’omonimo album di debutto, quanto il sentiero più incespicante e meno spontaneo tracciato con il secondo Murder The Mountains, nel quale avevamo ascoltato un sound più pesante, che pagava tributo, spesso in maniera non molto convincente, al suono di certi Mastodon del periodo successivo a Leviathan. Il discorso, invece, oggi si complica e non si risolve, prendendo pieghe ancora più marcate, differenziate e, purtroppo, scontate in entrambe le direzioni.
Sembra che i Red Fang abbiano tentato di scrivere un disco con un ossatura costituita da numerosi brani cupi e massicci, condendolo però con pezzi “da singolo”, orecchiabili e di facile ascolto, sulla falsariga di quelli che avevano decretato la loro buona notorietà underground. In questa direzione vanno “Blood Like Cream”, primo estratto dell’album, in cui un buon lavoro di chitarra viene supportato da una linea vocale poco grintosa e per nulla incisiva, o la conclusiva “Every Little Twist”, che sa tanto di compitino riassuntivo di alcuni episodi dei Queens Of The Stone Age. La formula risulta quanto meno bizzarra e poco concreta, non c’è un filo logico vero e proprio che connetta momenti punk rock come “No Hope” o “Crows In Swine” a brani come “Voices Of The Dead” o alla stessa traccia d’apertura “DOEN”, che farebbe presagire un cambio di registro in realtà destinato a non avvenire. Non ci sono canzoni particolarmente memorabili o che siano capaci di catalizzare l’attenzione e la curiosità dell’ascoltatore da subito, come invece accadeva per alcune cose del passato, scaltramente selezionate e accompagnate da video divertenti, abbastanza “virali” da garantire al gruppo una certa visibilità sulla rete.
Affrontando la seconda metà del disco ci si imbatte in pezzi quanto meno poco riusciti come “Behind The Light”, non del tutto convincente nelle transizioni tra strofe e ritornelli, o la lunga “Dawn Rising”, non troppo decifrabile se vista nell’ottica di una band come i Red Fang. In “Dawn Rising”, tra l’altro, compare – clamorosamente fuori contesto – Mike Scheidt degli YOB. La stessa chiusura di Whales And Leeches procede in maniera alquanto anonima: si direbbe che le canzoni siano rimaste orfane di quella freschezza e spontaneità che avevano caratterizzato gli esordi del 2009.
La sensazione generale, insomma, è quella di un’attesa vana. Una prova che sa di stanco, che lascia a bocca asciutta chi avrebbe voluto una bella conferma genuina del talento inventivo dei Red Fang e che mette in dubbio, in maniera quasi imbarazzante, la loro capacità di scrollarsi di dosso la fastidiosa etichetta di “fenomeno da internet”, mancando l’appuntamento con quella che sarebbe potuta essere l’occasione perfetta per mostrare i muscoli e sbugiardare i detrattori.
Tracklist
01. DOEN
02. Blood Like Cream
03. No Hope
04. Crows In Swine
05. Voices Of The Dead
06. Behind The Light
07. Dawn Rising
08. Failure
09. 1516
10. This Animal
11. Every Little Twist
12. Murder The Mountains
13. Black Water