Non è facile uscirsene con un disco coinvolgente se hai subito la sorte (infame e gloriosa al tempo stesso) che ti ha regalato aperti consensi in ogni dove, copertine che solo i Mastodon e l’aureola celebrativa di quello che probabilmente è il suono stoner degli ultimi anni. E che è anche un po’, in filigrana, quella cosa ignobile per cui non esiste altra scappatoia possibile alla linea dettata da un certo “mainstream” e che costringe giocoforza i fan a ingollare una proposta musicale sino al suo fisiologico ridimensionamento. Con i Red Fang è possibile giocare fin troppo facilmente a manipolare formule e suoni pur di rintracciare un seme hard stoner chiaro e totale. Anche troppo: una roba che solo la Relapse poteva accogliere, forse perché capacissima di abbracciare l’uditorio più vicino allo sbrodolamento ultrapesante come quello interessato al groove classico. Ma è vera anche un’altra cosa e cioè che la vulgata vincente non pare essere più quella di casa Relapse. Mi viene in mente che negli Usa i Red Fang faranno (o hanno già fatto, non ricordo) un tour con i misconosciuti Shrine, band di skater barbuti in fissa con le produzioni SST anni Ottanta, cioè quella roba alternativa e underground che solo il tempo e un’opportuna digestione ha portato alla dignità delle storture di certi Black Flag di fine carriera. Nulla di troppo sconosciuto, insomma, ma utile per dire che forse prima o poi qualcosa cambia anche in ambito stoner, Red Fang o no.
Due parole alla difesa. Tempo fa ho scritto di come non valesse la pena fasciarsi la testa prima di rompersela (facendo headbanging) ma se l’ho scritto è proprio perché paventare timori o mettere le mani avanti nel caso di una band di un certo grido è un fatto anche un po’ normale, dovuto tutto a come pompano le attese. Non so ancora se questo nuovo disco potrà mai avere la forza di spaccare in due la fanbase ma comunque non mi allarmerei troppo se lo sdegno nei confronti del nuovo Red Fang in giro per la rete dovesse risultare ingeneroso perché, secondo me, il disco ancora spacca, eccome. Al massimo, possiamo concedere che le soluzioni per la composizione di brani più oscuri e pesanti, per quanto lodevoli, paiono un po’ isolate e altre scorciatoie verso una maggiore cantabilità sembrano troppo telefonate. Che però vuol dire, tutto sommato, che la band un po’ si perde per strada quando cerca di virare verso un suono meno definito e più impalpabile mentre pare già sentita quando ripara in territori più tipicamente stoner (Behind The Light, per dirne una). Il bello arriva però con l’ospitata di Mike Scheidt in un brano lisergico tutto giocato su un’armonia vocale in cui il leader degli Yob la fa da padrone, quando intorno il clima resta ancora piuttosto classico. Notevole comunque l’intento di produrre un disco che per buona parte viene giocato su toni più oscuri.
Poi una piccola noticina. Forse non se ne parla affatto in giro (e non mi stupirei, visto che pare un’ossessione solo mia) ma già dai tempi dell’esordio e poi di Murder The Mountains avevo trovato originale quanto inusuale la scelta di quel suono pestone, molto lontano dal solito impianto vintage e polveroso che normalmente calza alle band stoner. Ecco, qua inizio un tantino ad accusare certa durezza. Come se la riconoscibile cafonaggine della Relapse volesse costituirsi una risposta (sbagliata) al bisogno di tracciare un suono adatto a tutti. Una bazzeccola, in fondo, ma anche qualcosa che comunica costantemente il bisogno da parte della band e dell’etichetta di mantenere i contatti con un panorama ben più ampio del solito uditorio sabbathiano (cosa che pare confermata nei loro live), almeno fino a quando questo fenomeno non rientrerà, nessuno ci farà più caso e loro potranno godersi la gloria di essere diventati -tipo- una band da manuale.
Purtroppo un discorso diverso non riesco a farlo: immaginate un disco di pezzi validi, a volte un tantino prevedibile ma dai ganci ancora coinvolgenti, per buona parte evidentemente più sperimentale del precedente. Ecco, lodevole, tiene botta e tutto ma mi sento di dire lo stesso che non è paragonabile a Murder The Mountains. Un dilemma che appesantisce anche le migliori band, quello di non riuscire a confrontarsi con un passato in cui più della validità dei brani ha potuto la freschezza della formula.
Augh (Nunzio Lamonaca).