Con i compagni si va al cinema: il biglietto si porta via quasi tutta la paghetta, ne resta sì e no per un astuccio di caramelle. Sono sempre i maschi, vocianti e sguaiati, a decidere cosa si va a vedere, e sono sempre film western o d’azione quelli che scelgono. Noi femmine ancora non conosciamo il potere innato di influenzarli, e li seguiamo un po’ passive. Col nostro pezzettino di carta in mano passiamo sotto il controllo dell’addetto, che finalmente scosta la cortina di velluto rosso che per noi rappresenta una specie di frontiera iniziatica da varcare col batticuore, e ci lascia entrare nella sala. Occupiamo un’intera fila tra le ultime, sparpagliando cappotti e ombrelli e spintonandoci come a ricreazione. I maschi cominciano subito a mimare le scene, simulando sparatorie e scazzottate e disturbando tutti mentre noi ragazze, annoiate, sbucciamo caramelle fino a riempirci la bocca di un sapore di saponetta che se ne andrà via solo l’indomani.
Per tutto l’inverno va così, il sabato a fare gli spacconi al cinema e la domenica a studiare greco e latino.
Verso primavera si sono formate alcune maldestre simpatie, e la fila si sgrana: un paio di coppiette si siedono più in là e guardano il film le mani nelle mani, gli occhi lucidi di emozione nel buio della sala.
Quando esce Il dottor Zivago, noi femmine ci coalizziamo e per una volta riusciamo a imporci. Il film è corposo, le balalaike spezzano il cuore, i paesaggi ipnotizzano. Quando Yuri, sotto una tormenta di neve, scorge da lontano tre figure e le raggiunge, stremato, per scoprire che non sono i suoi cari ma tre estranei, i maschi hanno un bel ridacchiare, ma sono commossi anche loro.
Stella si è appartata due file dietro, nell’angolo più oscuro, con Sergio della 1A. Quando usciamo è molto tardi perché il film è lungo, e abbiamo tutti i volti in fiamme, ma i suoi occhi sono i più lucidi, sul suo viso le chiazze rosse sono le più rosse. Mi prende per il braccio e mi chiede di accompagnarla alla fermata.
“Se ti dico una cosa, mi prometti di tenere il segreto?”
“Certo”.
E lei, mentre ci affrettiamo verso la fermata dell’autobus, continua:
“Sai, io e Sergio…”
“Sì?”
“Io e Sergio…”
“Vi siete baciati? È questo che volevi dirmi?”
Ho ancora uno strano calore alla nuca al ricordo dei baci di Yuri e Lara, immagini così vivide e in primissimo piano da mettere in imbarazzo.
“No, di più”.
“Di più cosa?”
Lei non risponde, e io sento il cuore che parte in una tachicardia molesta.
“Avete fatto l’amore? – chiedo, con una voce che non riconosco come mia perché ha pronunciato per la prima volta una frase proibita, da adulti, nebulosa nel contenuto ma intimamente perversa. L’amore che conosco è quello di Giacomo per Silvia o di Didone per Enea, incorporeo, pudico, fatto di parole sublimi che si fermano sull’orlo di un abisso recondito. E le ragazzine per bene si fermano anche loro, perché è ancora troppo presto per saperne di più.
“Non proprio, ma quasi. Gli ho fatto quella cosa che sai – rivela Stella, che sembra non vedere l’ora di vuotare il sacco.
Solo che io non lo so proprio, non immagino nemmeno lontanamente cosa possa essere quella cosa di cui parla.
“Ma sì che lo sai, quella cosa che piace tanto ai ragazzi… Dai, non puoi non saperlo, non puoi essere così ingenua! – e ridacchia, ma male.
Arriva l’autobus, lei mi stacca e lo prende al volo, raccomandandomi ancora il segreto.
Torno a casa frastornata e febbricitante, con la sensazione di aver offerto un’inetta, inconsapevole complicità a qualcosa di orribile, una colpa abbietta, un peccato immondo.
Ma il segreto, che con me è al sicuro perché non l’ho capito, è anche nelle mani di quel bastardo di Sergio, che non ha perso tempo a vantarsene con mezzo mondo, così finalmente ci arrivo anche io, da mezze frasi, battute spinte e disegnini osceni che girano tra i banchi il lunedì alla prima ora.
Stella, come al solito in ritardo, fa il suo ingresso in classe con una nuova spavalderia, guardando dalla parte dei maschi con un’aria provocante e da quella di noi femmine con un sorriso di superiorità. Io sono rossa come il fuoco e provo un odioso formicolio su tutto il corpo. Quando mi si siede vicina mi scosto e evito ogni contatto. Presto si rende conto che anche le altre l’hanno giudicata ed esiliata, e il suo trionfo si smonta in un bagno di vergogna che la consegna, del tutto indifesa e indifendibile, al dileggio volgare dei maschi.
La compagnia si disgrega, il sabato non ci si incontra più sotto i portici. Ognuno trova altri giri, altri legami, e la breve stagione dell’innocenza si stempera altrove, cercando di dimenticare il modo increscioso con cui si è conclusa.
Ho diciotto anni, porto i collant di Mary Quant e ho un ragazzo a posto, terz’anno di lettere, che il sabato pomeriggio fa il catechista. Mia madre lo approva perché è serio e di buona famiglia.
Usciamo la domenica e passeggiamo, passeggiamo tanto. Lui mi bacia su una panchina al parco e mi scalda le mani. Al cinema non andiamo mai.
“Perdonami, ma soffro un po’ di claustrofobia – mi ha spiegato tutto spiacente e confuso.
E io l’ho abbracciato forte rispondendogli:
“Anch’io, anch’io!”
* * *
Stavolta l’eds è dedicato al rosso e al peccato. Ecco gli altri peccatori:
- Dario con Lisa Borletti
- Dario con Turi Pappalardo
- Dario con Lucevan li occhi suoi più che la stella
- Gordon Comstock con Il peccato più grande
- Fulvia con Biancaneve