Erica è una giovane che passa di letto in letto collezionando le foto delle sue conquiste (?).
Nate (grandioso l’attore Noah Taylor) è un barbuto reduce della guerra in Iraq. Da piccolo uccideva gli animaletti.
Franki ha una rock-band pronta a sfondare. Oltre ad una madre gravemente malata.
Tre persone come sono tre i colori della Stars and Stripes. Per l’inglese Simon Rumley l’USA b-side è un frullato di nichilismo in cui il rosso – del sangue – sembra essere la tonalità dominante.
Perciò, seguendo la convulsa esistenza di tre personaggi, anche la pellicola assume una struttura tripartita in cui comunque le varie parti si intersecano le une nelle altre attraverso oculate ellissi temporali.
Certo, se uno sentisse il dispiegamento della trama senza aver visto l’opera potrebbe asserire di trovarsi di fronte ad uno dei tanti revenge movie che popolano il sottobosco simil-horror. E a conti fatti questa una storia di vendetta lo è per davvero, più che altro di vendette, di azioni che scatenano reazioni brutali. Niente di sconvolgente, sia ben chiaro, ma ancora una volta si palesa quello che è uno dei motti di questo blog: nell’economia di un film è più importante il COME piuttosto che il COSA.
Il prologo è già una sequenza che solleva la pellicola da tutto quell’indiume che spesso eccede troppo nel mostrare splatterismi vari tralasciando così tutto il resto. Rumley, invece, oltre a mettere palesemente mano all’estetica (colonna sonora, montaggio rabbioso e un po’ di sana cattiveria) cerca perlomeno di dare una psicologia decente e coerente ai suoi attori che nonostante siano avvolti da un’aurea di maledettismo risultano piuttosto credibili nelle loro azioni. O meglio, la furia vendicativa di Nate sembrerebbe immotivata in tutta la sua durata, vada per i suoi trascorsi militari nonché adolescenziali, ma prendersi a cuore una puttanella del genere suona come basso escamotage per infilare nell’ultima mezz’ora qualche tortura all’arma bianca.
Questo è ciò che ho malamente pensato fino all’inquadratura conclusiva che invece legittima tutto il furore di Nate. Gioco scorretto da parte di Rumley? Potrebbe starci, il fuori campo autorizza qualunque bivio sceneggiaturiale, anche il più impensabile. Ma vabbè, lui mi (e spero ci riesca anche con voi) ha teso una trappola e ci sono cascato con tutti e due i piedi. E ciò è cosa buona e giusta.
Thumbs up per il regista comunque, aldilà del fatto che Red White & Blue (2010) sia un dignitosissimo esempio di horrordrama contemporaneo, al suo interno potete ritrovare un risvolto narrativo che personalmente considero geniale: la roba dell’HIV legata al tumore della madre [1] è una vera perla all’arsenico che forse meritava ancora più spazio nella pellicola.
Come già detto, con The Woman (2011) il mio film sull’America di quest’anno.
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[1] Coda autobiografica. Rumley ha perso sua madre a causa del cancro. Il che, tra l’altro, lo ha ispirato per il suo film precedente The Living and the Dead (2006).