La determinazione del reddito di lavoro autonomo deve avvenire esclusivamente sulla base del cosiddetto principio di cassa (differenza tra ammontare dei compensi effettivamente percepiti nel periodo d'imposta e ammontare delle spese effettivamente sostenute nello stesso periodo), al contrario delle imprese che sottostanno al principio di competenza.A ribadire questo ormai noto principio è la Corte di Cassazione con sentenza n.8626 del 15 aprile 2011, fornendo altresì un'interessante precisazione in merito al dovere di correttezza e buona fede che deve ispirare l’attività dell’Amministrazione finanziaria.Nel caso di specie, un professionista impugnava l'avviso di accertamento con cui gli veniva contestata l'omessa dichiarazione per l'anno d'imposta 1993, con addebito di relative imposte, sanzioni ed interessi.Il professionista produceva le dichiarazioni e le ricevute per gli anni 1992 e 1993 chiarendo di aver applicato il principio di competenza dichiarando, per i medesimi anni d'imposta, i compensi relativi alle prestazioni eseguite seppur non ancora riscossi.Il giudice di primo grado accoglieva il ricorso del professionista ma, con successivo appello, l'Amministrazione finanziaria vedeva ribaltare il ricorso a proprio favore, in virtù del conclamato principio di cassa e non quello di competenza erroneamente applicato dal professionista.Con ricorso in Cassazione, il professionista eccepiva l'illegittimità della sentenza in appello con cui si riteneva omessa la presentazione di una dichiarazione avendo invece presentato la dichiarazione fiscale, seppur indicando gli importi secondo il principio di competenza, inoltre contestava la doppia imposizione effettuata dall'ufficio che, sempre secondo il professionista, era in condizioni di conoscere la situazione del contribuente sulla base delle due dichiarazioni pervenute, oltre alla violazione dei principi di correttezza e buona fede nei rapporti tra Fisco e contribuenti.La Suprema Corte respingeva tutte le doglianze del professionista, affermando che la tassazione secondo il principio di cassa dei redditi da lavoro autonomo è categorica poichè la disposizione dell'art.54 del TUIR “… è chiara e non ammette interpretazioni diverse da quella secondo la quale i compensi vanno sottoposti a tassazione in relazione all'anno in cui sono stati percepiti”; la Corte escludeva inoltre la violazione del principio di doppia imposizione in quanto nel caso in esame si è trattato di errore del contribuente e per questo sanabile con una semplice istanza di rimborso e che, l'applicazione del principio di competenza anzichè quello di cassa ha rilevanze notevoli sull'ammontare dei tributi in considerazione del fatto che l'Irpef è un'imposta progressiva e non in misura fissa e che per questo motivo l'ammontare delle imposte potrebbe variare notevolmente da un anno all'altro.Da ultimo, i giudici di legittimità non hanno ritenuto neanche applicabile, al caso di specie, il principio di correttezza e buona fede fissato dall’articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente.Al riguardo, infatti, la Cassazione precisa che l’Amministrazione finanziaria “… solo se correttamente compulsata, cioè con gli ordinari istituti all’uopo configurati, può e deve rendersi conto dell’esistenza (non di una doppia imposizione, insussistente, come sopra esposto, nella fattispecie in esame), di un plus di imposizione conseguita ad un’erronea dichiarazione del contribuente …”, in quanto non rientra nei compiti dell'Agenzia delle Entrate “… quello di accertare una dichiarazione errata perché contenente un reddito da lavoro autonomo calcolato in maniera erronea”.Al contrario, accogliendo la tesi del professionista, si finirebbe per attribuire all’Amministrazione finanziaria un ruolo di “consulente fiscale” che, non rientra nei compiti istituzionali per cui la stessa è stata istituita.
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La determinazione del reddito di lavoro autonomo deve avvenire esclusivamente sulla base del cosiddetto principio di cassa (differenza tra ammontare dei compensi effettivamente percepiti nel periodo d'imposta e ammontare delle spese effettivamente sostenute nello stesso periodo), al contrario delle imprese che sottostanno al principio di competenza.A ribadire questo ormai noto principio è la Corte di Cassazione con sentenza n.8626 del 15 aprile 2011, fornendo altresì un'interessante precisazione in merito al dovere di correttezza e buona fede che deve ispirare l’attività dell’Amministrazione finanziaria.Nel caso di specie, un professionista impugnava l'avviso di accertamento con cui gli veniva contestata l'omessa dichiarazione per l'anno d'imposta 1993, con addebito di relative imposte, sanzioni ed interessi.Il professionista produceva le dichiarazioni e le ricevute per gli anni 1992 e 1993 chiarendo di aver applicato il principio di competenza dichiarando, per i medesimi anni d'imposta, i compensi relativi alle prestazioni eseguite seppur non ancora riscossi.Il giudice di primo grado accoglieva il ricorso del professionista ma, con successivo appello, l'Amministrazione finanziaria vedeva ribaltare il ricorso a proprio favore, in virtù del conclamato principio di cassa e non quello di competenza erroneamente applicato dal professionista.Con ricorso in Cassazione, il professionista eccepiva l'illegittimità della sentenza in appello con cui si riteneva omessa la presentazione di una dichiarazione avendo invece presentato la dichiarazione fiscale, seppur indicando gli importi secondo il principio di competenza, inoltre contestava la doppia imposizione effettuata dall'ufficio che, sempre secondo il professionista, era in condizioni di conoscere la situazione del contribuente sulla base delle due dichiarazioni pervenute, oltre alla violazione dei principi di correttezza e buona fede nei rapporti tra Fisco e contribuenti.La Suprema Corte respingeva tutte le doglianze del professionista, affermando che la tassazione secondo il principio di cassa dei redditi da lavoro autonomo è categorica poichè la disposizione dell'art.54 del TUIR “… è chiara e non ammette interpretazioni diverse da quella secondo la quale i compensi vanno sottoposti a tassazione in relazione all'anno in cui sono stati percepiti”; la Corte escludeva inoltre la violazione del principio di doppia imposizione in quanto nel caso in esame si è trattato di errore del contribuente e per questo sanabile con una semplice istanza di rimborso e che, l'applicazione del principio di competenza anzichè quello di cassa ha rilevanze notevoli sull'ammontare dei tributi in considerazione del fatto che l'Irpef è un'imposta progressiva e non in misura fissa e che per questo motivo l'ammontare delle imposte potrebbe variare notevolmente da un anno all'altro.Da ultimo, i giudici di legittimità non hanno ritenuto neanche applicabile, al caso di specie, il principio di correttezza e buona fede fissato dall’articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente.Al riguardo, infatti, la Cassazione precisa che l’Amministrazione finanziaria “… solo se correttamente compulsata, cioè con gli ordinari istituti all’uopo configurati, può e deve rendersi conto dell’esistenza (non di una doppia imposizione, insussistente, come sopra esposto, nella fattispecie in esame), di un plus di imposizione conseguita ad un’erronea dichiarazione del contribuente …”, in quanto non rientra nei compiti dell'Agenzia delle Entrate “… quello di accertare una dichiarazione errata perché contenente un reddito da lavoro autonomo calcolato in maniera erronea”.Al contrario, accogliendo la tesi del professionista, si finirebbe per attribuire all’Amministrazione finanziaria un ruolo di “consulente fiscale” che, non rientra nei compiti istituzionali per cui la stessa è stata istituita.
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