Si chiama Antonio Lepore il giudice del Tribunale di Napoli che ha accolto il ricorso di un contribuente dichiarando l’illegittimità del redditometro in quanto lesivo del diritto alla privacy. Secondo il giudice il redditometro “determina la soppressione del diritto delle famiglie ad avere una vita privata e a poter gestire liberamente il proprio denaro senza essere sottoposto all’ingerenza del potere esecutivo”. E ancora: “…rende impossibile fornire la prova di aver speso meno di quanto risultante dalla media Istat…”.
Analogamente l’ Adusbef (Associazione difesa consumatori ed utenti bancari, finanziari ed assicurativi) ha dichiarato lo strumento “incostituzionale” perchè “pone a carico del cittadino contribuente l’onere della prova, che in qualsiasi civiltà giuridica dovrebbe essere posto in capo all’amministrazione pubblica”.
Alcuni dati presi come riferimento dall’ Agenzia delle Entrate si basano infatti su valori Istat e sono pertanto dati medi e non effettivi per cui ben potrebbe il consumatore aver sostenuto una spesa inferiore. Ci sono poi alcune voci di spesa che non tutti i contribuenti sostengono.
Evito però di addentrarmi in discussioni di dottrina riguardo alla legittimità o meno dello strumento in questione perché rischierei di non fare più ritorno.
Cos’è il redditometro e come funziona?
Il REDDITOMETRO è lo strumento attraverso il quale il fisco individua il reddito presunto del contribuente sulla base delle spese da questi sostenute.
La tabella A allegata al decreto del redditometro prende in considerazione 30 voci di spesa per consumi che si riferiscono alle spese effettive sostenute dal contribuente e di cui l’ Agenzia è a conoscenza (uscite per il mutuo della casa, canone di locazione, energia elettrica, contributi previdenziali obbligatori).
La tabella prevede poi 24 voci di spesa per le quali si applica il maggior valore tra quello che il cliente ha effettivamente sostenuto e quello della spesa media Istat del nucleo familiare di appartenenza (alimentari e bevande, abbigliamento e calzature, medicinali e visite mediche, spese scolastiche ecc).
Tuttavia i valori Istat posso essere utilizzati solo quando l’ amministrazione ha elementi che provano che il contribuente ha effettivamente sostenuto tali spese, poiché come dicevo in precedenza non tutti i contribuenti sostengono tutte le spese elencate (mia nonna di certo non sostiene spese scolastiche, per intenderci).
Vi sono infine 2 voci per le quali si fa riferimento ai valori figurativi: fitto figurativo (si ha quando il contribuente abita in una casa non di sua proprietà che non risulta né locata né data in uso gratuito) e pasti e consumazioni fuori casa.
Si sommano infine gli incrementi patrimoniali al netto dei disinvestimenti e la quota di risparmio dell’ anno.
Una volta individuati i valori base si procede al CONTRADDITTORIO tra ufficio dell’ amministrazione finanziaria e contribuente nel corso del quale avviene l’ adeguamento di tali valori con la situazione del singolo contribuente. Qualora non venga raggiunto un accordo, ovvero il reddito individuato non presenta un buon grado di attendibilità sarà il giudice tributario a determinarne la fondatezza. In questo caso vige una presunzione semplice e l’onere probatorio si trasferisce sul contribuente.
REDDITOMETRO E REDDITEST
Accade spesso nella pratica di fare confusione tra i termini redditometro e redditest. Qual è la differenza?
Il redditometro si configura come vero e proprio strumento di accertamento.
Il REDDITEST invece rappresenta una sorta di autoverifica volta ad individuare la coerenza delle spese effettuate dalla famiglia con il reddito dichiarato.
Va sottolineato però che anche se il redditest dà un responso positivo ciò non implica che il contribuente sia al riparo da un eventuale accertamento da redditometro. Questo perché le spese conosciute dall’ amministrazione finanziaria e sulle quali il redditometro si basa non sono tutte quelle che il contribuente ha effettivamente sostenuto. Risulterà necessariamente uno squilibrio tra i risultati del redditest e quelli del redditometro.
Il redditest ha pertanto una valenza meramente psicologica, costituisce un incentivo affinché il contribuente dichiari un reddito coerente con la sua capacità di spesa.
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