Dalle nebbie informi della mia memoria recente, qualcosa inizia a prendere forma.
Un buco di un quattro-cinque giorni buoni durante i quali sono stata molto moto impegnata a: sudare, rigirarmi nel letto, cercar di capire che ora era dalle variazioni luminose del cielo che intravedevo da sopra la serranda (sempre crollata) di camera, scoprirmi perché mi bollivano i piedi, coprirmi perché avevo i brividi freddi, cambiare lato perché mi si schiacciavano le costole, togliermi i piedi di Mimi dalla pancia/fianco/schiena, assumere Tachipirina a intervalli decisamente irregolari, provare ad alzarmi e constatare che non era cosa.
Una bella batosta, non c'è che dire.
Non ricordo nemmeno da quanti anni era che non me ne prendevo una così.
La fortuna in tutto ciò è che Mimi è stata male con me, la qual cosa non fa una bella figura detta da una mamma, ma è giustificabile se detta da una mamma in coma che non sarebbe in grado di impedire le fughe sempre più frequenti di sua figlia di due anni giù per le scale di casa, scale che presentano ampie voragini tra un gradino e l'altro, perché presentonsi sospese sul vuoto...
Con oggi possiamo sancire il definitivo ritorno alla vita, mio e suo.
Nel frattempo sono riuscita persino a vedere il Festival. Quello di Sanremo, proprio lui. Peccato che non so cos'è che ho visto, dato che non ci ho capito nulla, e fino a poco fa non avevo nemmeno la più pallida idea di chi avesse vinto (senza parlare dei nomi dei cantanti: per lo più degli emeriti sconosciuti. Ma da dove sono saltati fuori tutti 'sti tizi? Boh!).
Nel frattempo sono riuscita a farmi sgombrare la camera "delle bimbe" (almeno in divenire) e ho scoperto enorme macchia di umidità-muffa sull'intera parete coperta dal vecchio armadio.
L'ultimo ricordo lucido: io che, inerpicata in cima a una scala di lamiera mezza rotta, passavo spugnature di candeggina sulle colonie fiorite in questa manciata di mesi invernali.
Io che chiamo il padrone di casa dicendo che probabilmente dev'esserci un'infiltrazione d'acqua dal tetto. Lui che mi risponde che purtroppo ora sto per partire per Dubai (ma vaff...), ne riparliamo quando torno. E la serranda? Pure quella, quando torno. In caso chiedi agli operai che stanno a piano terra a finire un lavoro. Si va be', ma io da quegli stronzi sessisti maleducati che mi spostano sempre la bicicletta da sotto la tettoia non ci vado, piuttosto faccio tutto da me.
Le ultime parole famose, infatti la parete sta ancora là, e anche la macchia.
Nel frattempo dovevo andare anche a cercare i mobili per la suddetta cameretta in un posto che conosco io che vende roba usata, ma è tutto saltato, tutto rimandato, tutto fermo.
Disperazione pre-natale. Profondo panico da nascita imminente e nulla è pronto. Come nei miei incubi peggiori.
L'inquilina staziona ora nel nostro sgabuzzino, come tanti altri ospiti prima di lei, quanti nemmeno immagina, in attesa che
Io attendo speranzosa, eh! Dopo faccio una festa.
Nel frattempo Mimi ha messo a dura prova i miei nervi, abbiamo litigato selvaggiamente per diversi giorni di clausura forzata, io spompata dalle sue richieste almeno quanto dalle sue opposizioni, nette, ripetute, a priori. Abbiamo mangiato a orari fasulli, mettendo in tavola cibi di discutibile valore nutrizionale, quello che trovavo in giro, tra frigo e dispensa, meglio se già pronto. In linea di massima diciamo che ci siamo nutrite di pane in cassetta e miele e "tuccodimele" (lei), tachipirina (io) per una buona settimana.
Mandato in soccorso l'amico Cileno a farmi un rapido shopping alimentare di base. Peccato che poi lui si sia perso il pizzino con la lista nei pantaloni da lavoro e sia tornato alle otto e mezza di sera con una spesa piuttosto fantasiosa, che difficilmente avrei potuto riconoscere come fatta da me (mai comprati i cavolfiori, io!)
Man mano che mi tornano le forze, anche la realtà riacquista confini più netti e "normali".
Cazzarola: in frigo ci sono DAVVERO i cavolfiori! Allora non ho sognato! Ora mi toccherà impestarmi casa di cavolo.
Le energie ricominciano adagio a circolare nelle mie membra, senza strafare, il cielo è luminoso, preannuncia primavera.
Io mi sento tanto reduce da un naufragio, mentre fuori sentivo scrosciare i nubifragi che hanno coinciso con il picco della mia malattia, su un letto alla deriva con Mimi e Noemma nella pancia che stava influenzata pure lei (l'ho sentita io, tutta mogia mogia, doppiamente imbarcata perché navigatrice del mio utero, e mezza intossicata di paracetamolo, porella), e la tosse ti squassa il petto e la gola, e ti senti tanto lontana dal mondo, isolata, chiusa nel tuo guscio di sonno senza soluzione di continuità, che tutto quello che ti dicevi di dover fare non ha più importanza, tanto non ce la fai, non c'è ieri, non c'è domani, c'è solo l'ora, che non hai la più pallida idea di quanto tempo sia passato, né quanto in fretta.
E poi ti affacci piano piano alla finestra e vedi gli altri sempre lì, e qualcuno si chiede che fine hai fatto, anche se tu, sempre qua sei stata, ti sei solo preclusa per un po' il lusso ozioso del socialnetworking.
Contenta come una reduce perché ho superato anche questa, un po' colpevole forse perché ho strapazzato Mimi, il giorno in cui lei iniziava già a stare male, e io l'ho trascinata a quell'incontro all'aperto con le vecchie colleghe... c'era il sole ma faceva freddo, e tirava vento.
E recupero il ricordo recente.
I nostri incontri periodici, di quel gruppo di donne tanto diverse tra loro, tanto per storie e percorsi, e vite, e caratteri... eppure nonostante tutto ancora riusciamo a trovare una volta ogni tanto una mezza mattinata per rincontrarci tutte, o quasi, condividere novità, nuove pance, bimbi nuovi, racconti, pezzi di vite, ricordi di quel periodo in cui ci sentivamo forse un poco più vive, collocate nel mondo, con un impiego, per quanto precario, uno stipendio, per quanto mediocre, un compito, per quanto noiosetto, un gruppo di lavoro, nato così, un po' a casaccio, che più variegato non poteva essere.
Vederti con gli occhi di un'altra persona, in una mail collettiva un po' nostalgica, ritrovare in quelle parole forse la tua stessa nostalgia, e sorridere pensando a quella che eri:
"la studentessa sempre di corsa, sempre in bici, anche col braccio rotto non si è fatta spaventare, sempre in bolletta, col suo fidanzato libico e le foto della lunga vacanza araba, sempre sorridente, colorata e un pò frikkettona..."
E anche perché tutto sommato, malgrado gli anni, malgrado qualche figlia in più, qualche soldo in meno, non è che tu sia poi cambiata così tanto.
Niente: è che mi sento proprio una reduce, in questi giorni.
Concedetemi ancora qualche pensiero sconnesso.