Magazine Attualità

Referendum 17 aprile: Guida al voto

Creato il 14 marzo 2016 da Retrò Online Magazine @retr_online

Domenica 17 aprile, dalle 7 alle 23, il popolo italiano sarà chiamato al voto circa il referendum abrogativo “No Triv”. Di cosa si tratta esattamente? Il quesito referendario recita: «Volete voi che sia abrogato l’art.6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art.1 della legge 28 dicembre 2015, n.208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge Stabilità), limitatamente alle seguenti parole «per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e della salvaguardia ambientale»? La consultazione è pertanto legata al divieto di rinnovo delle concessioni estrattive di gas e petrolio per giacimenti entro 12 miglia dalla costa nazionale (dunque sono escluse le fattispecie oltre le 12 miglia). Il quesito, sul quale pesa un rumoroso silenzio informativo e governativo, è promosso da nove consigli regionali (precedentemente dieci prima del “forfait Abruzzo”) ovvero Puglia, Basilicata, Molise, Campania, Calabria, Veneto, Marche, Liguria e Sardegna.

La polemica sulla data. Molte le polemiche sulla data selezionata dal Governo, che ha di fatto deciso di evitare un unico election day con le amministrative di giugno. Una decisione che sa di vera e propria posizione politica sul quesito referendario, considerato che la separazione tra referendum e amministrative genera non solo sprechi a carattere economico, ma anche, a detta delle opposizioni politiche e dei comitati e associazioni a sostegno del sì, il tentativo di indirizzare il referendum verso il mancato raggiungimento del quorum. L’articolo 75 della Costituzione, prevede infatti l’approvazione dello stesso attraverso un quorum partecipativo della «maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi». La presidente di Legambiente, Rossella Muroni aveva chiesto invano l’accorpamento referendum-amministrative per «evitare lo spreco di 300 milioni di euro ed investirli ad esempio nella realizzazione di interventi di messa in sicurezza dal rischio idrogeologico per la città di Genova». La decisione del governo, peraltro, muove dal decreto legge 98/2010, il quale non prevede che i referendum possano essere accorpati alle consultazioni amministrative. E’ pur vero che se non lo prevede, neppure lo vieta.

Referendum-17-aprile

Come nasce. La storia del referendum, primo della storia ad essere richiesto da Consigli regionali piuttosto che dagli elettori, è efficacemente raccontata dalla rivista “Wired” attraverso Pietro Dommarco, in data 21 gennaio. Se ne legge: «Ad aprile 2010 esplode la piattaforma Deepwater Horizon della BP nel Golfo del Messico. L’allora ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo a giugno dello stesso anno vieta le attività petrolifere lungo tutta la fascia costiera italiana portando il limite di interdizione da cinque a dodici miglia». Sostanzialmente dunque, da 9 a 22 chilometri dalla costa. Tuttavia, prosegue Dommarco, «il ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera, decide di azzerare il decreto Prestigiacomo sbloccando tutte le autorizzazioni concesse alle compagnie petrolifere». Il resto è storia recente, con la promozione del fossile attraverso lo Sblocca Italia 2014 del governo Renzi impugnato dinanzi alla Corte Costituzionale (siamo all’inizio del 2015) da Lombardia, Marche, Campania, Calabria, Puglia, Veneto e Abruzzo, per presunto conflitto di attribuzione dei poteri Stato-Regioni. Come indicato da “Il sole 24 ore” «il decreto Sblocca Italia puntava su un maggiore sfruttamento dei giacimenti nazionali per ridurre l’input di metano e petrolio, ma lo faceva spostando una parte del potere decisionale delle Regioni». La Corte Costituzionale ha però bocciato il ricorso delle Regioni (9 marzo 2016), causa difetti legati al metodo e non al merito. Si legge da “Il Fatto Quotidiano”: «Il consiglio regionale del Veneto ha votato per delegare in tal senso il rappresentante delle Regioni nel comitato referendario, ritenendo implicita la volontà anche delle altre Regioni». Tradotto: «non è stata espressa volontà di sollevare detti conflitti da almeno cinque dei consigli regionali che avevano richiesto il referendum prima delle modifiche legislative sopravvenute». Quali? Qui, facciamo un passo indietro. A settembre 2015, è la volta del deposito di sei quesiti referendari dinanzi alla Cassazione, inerenti all’intervento del governo Monti attraverso il decreto Passera e al discusso Sblocca Italia di Renzi. La Cassazione, accetta solo uno dei sei quesiti, considerata l’astuzia dell’attuale esecutivo attraverso interventi anticipatori rispetto agli stessi quesiti. Insomma, l’intervento del Governo, teso ad evitare l’approvazione dei quesiti referendari ha spinto la stessa Cassazione ad ammettere solo uno dei sei quesiti. Il conflitto di attribuzione sollevato alla Corte avrebbe rispolverato due dei quesiti referendari, su aree e proroghe delle concessioni. Si voterà dunque solo per le concessioni entro le 12 miglia. A febbraio infine, la discussa decisione della data del referendum, senza accorpamento né con le amministrative nè con il referendum costituzionale di ottobre, banco di prova circa la tenuta del governo Renzi.

Perché votare sì. Le ragioni del sì vengono efficacemente spiegate da associazioni ambientaliste e comitati sulla base di un necessario cambiamento produttivo, dalle energie fossili all’utilizzo di fonti rinnovabili ed al passo col futuro, evitando compromissioni ambientali e sanitarie. Il concetto è sintetizzato dalla presidente di Legambiente, Rossella Muroni in un intervento pubblicato il 7 marzo dal quotidiano “La Stampa”: «Le trivelle sono il simbolo tecnologico del petrolio: vecchia energia fossile causa di inquinamento, dipendenza economica, conflitto, protagonismo delle grandi lobby. La vera sfida di questo referendum è quella di far esprimere gli italiani sulle scelte energetiche strategiche… per un economia più giusta, rinnovabile e decarbonizzata». Oltre a Legambiente, vicini alla battaglia referendaria anche Wwf e Greenpeace. Votare sì vuol dire dunque bloccare tutte le concessioni per le estrazioni di petrolio entro il limite delle 12miglia. Trattasi di estrazioni su impianti già esistenti ed attivi, perché la richiesta di nuove concessioni per estrarre nel limite delle miglia è già vietata.

Perché votare no. Le ragioni del no, che permetterebbero alle compagnie petrolifere di prolungare le attività attraverso il rinnovo delle concessioni in scadenza, muovono dall’importanza dell’attività estrattiva per il nostro Paese, e come tale attività abbia rischi minimi o comunque remoti rispetto ad una attività qualificante per l’economia nostrana. Singolare è anche la contrarietà al sì di una parte della Cgil. Secondo il segretario dei chimici Cgil, Emilio Miceli «di petrolio e gas ci sarà ancora bisogno, si rischia di perdere posti di lavoro». Vietare l’estrazione di idrocarburi sarebbe dunque per Miceli «un errore strategico gravissimo». Ma si tratta di una posizione non proprio comune all’interno del sindacato, chiamato a valutare interessi locali e nazionali contrapposti. La diversità di posizioni, rivela quanto complessa sia una vicenda come quella delle trivelle, e come appaia pertanto fondamentale informare i cittadini sulla scelta da compiere. Se vince il no resterà tutto così com’è: alla scadenza delle concessioni, le compagnie petrolifere potranno chiedere un prolungamento delle attività.

I giacimenti oggetto del referendum. I giacimenti interessati sono 21. Tra i più importanti Guendalina (Eni), Gospo (Edison) e Vega (Edison). Dunque solo una piccola parte delle compagnie è toccata dal referendum, rispetto alle 106 compagnie presenti nel territorio marittimo italiano.

Sondaggi. Secondo l’istituto demoscopico Swg (Fonte “L’Unità”) il sì sarebbe nettamente in vantaggio, con il 78 per cento degli italiani favorevole allo “stop trivelle”. Tuttavia, pesano due considerazioni: una legata al raggiungimento del quorum (maggioranza assoluta dei votanti), l’altra alla scarsa informazione (solo il 22 per cento degli italiani è informato sul referendum petrolifero). Fa discutere, proprio in materia di informazione la Circolare ministeriale del 26 febbraio 2016, che vieta alle pubbliche amministrazioni di svolgere attività di comunicazione «ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l’efficace assolvimento delle proprie funzioni». Polemiche a parte, la palla passa ora agli italiani: nella speranza che tutti abbiano la possibilità ed il buon senso di comprendere le ragioni del referendum.

Tags:Italia,referendum,Trivelle

Related Posts

Altri SportBlogIl corriere SportivoSport & CuriositàSports

Sei Nazioni: nuova sconfitta per l’Italia

BlogCalcioIl corriere SportivoSerie ASport & CuriositàSports

Fanta … sticando. Chi schierare, chi evitare!

BlogMedio OrientePrima PaginaReportageSiria

Vertice europeo sulla Siria. La tregua regge. La fiducia dell’Onu

BlogCalcioIl corriere SportivoSerie ASport & CuriositàSports

Juventus-Inter: i cambiamenti dopo un girone


Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog