di Alessandro Corneli
Sul piano personale, il più felice è Giovanni Toti, Forza Italia, che ha vinto in Liguria. Sul piano dei partiti, la maggiore soddisfazione alloggia presso il Movimento 5 Stelle, che in varie parti è risultato il più votato e che, se si fossero tenute le elezioni politiche, sarebbe andato al ballottaggio con il Pd, il quale generalmente arretra anche se, formalmente, può rivendicare 5 Regioni su 7. Disastro per le formazioni della diaspora forzista (Alfano/Quagliarella e Fitto) e risultato insoddisfacente per i dissidenti leghisti (Tosi). L’erraticità (alleanze variabili) di Fratelli d’Italia non giova all’identità del partito. Bene la Lega di Matteo Salvini che ha saputo sfruttare i segnali più spettacolari del malessere italiano (immigrazione in sé e suoi riflessi sociali a livello locale).
Conta la forza di radicamento dei leader locali: Zaia in Veneto, De Luca in Campania, Emiliano in Puglia. Conta la forza del partito, in questo caso il Pd: Rossi in Toscana, Ceriscioli nelle Marche, Marini in Umbria (ma per poco), della Lega in Veneto. Penalizza la divisione: del Pd in Liguria, del centrodestra nelle Marche e un po’ in Puglia. Contano le avversioni personali: quella più antica per Berlusconi, che ha spinta al ribasso Forza Italia, e quella più recente per Renzi. Conta (in negativo) la voglia di un cambiamento radicale, espressa nell’aumento di voti per il M5S non più legato alla figura di Beppe Grillo. Premiata la presenza televisiva: di Salvini e Di Maio.
Ma sulle elezioni pesa il macigno dell’astensione: quasi il 48%. Questo significa che gran parte del 52% dei cittadini che si sono recati al voto rappresenta la vecchia politica, consapevole del fatto elementare che, pochi o molti che siano i votanti, qualcuno vince, che importante è vincere e che la vittoria consente di spartire la torta del potere, anche se le risorse sono in diminuzione.
Renzi ha evitato l’incubo che si era profilato, forse un po’ volutamente esagerato, ma ha perso il tocco magico. Continuerà a governare tra furbizie, colpi di forza e colpi di fortuna, ma dovrà guardarsi le spalle. Dovrà scegliere se trattare con il M5S, come alcuni suggeriscono, o se puntare a crearsi un alleato con i fuoriusciti del centrodestra passati e futuri.
Berlusconi lavorerà per rimettere insieme i pezzi dell’area moderata, che però è senza un progetto e senza uno strumento per progettare: non potrà crogiolarsi a lungo sulla vittoria in Liguria. Il M5S dovrà scegliere se mantenere una linea di contrapposizione a tutti, ma dovrebbe attirare parte del non-voto, ciò che non sembra ancora possibile, o se fare prove di governo appoggiando qualche provvedimento renziano: è un dilemma difficile.
In realtà l’Italia avrebbe bisogno di un progetto nuovo, organico e coraggioso. Facile sulla carta, se si guarda al 48% dei non votanti. Difficile se lo si vuole configurare in proposte concrete, dettagliate e coraggiose che sappiano integrare gli interessi particolari in una visione costruttiva dell’interesse generale. Al riguardo, c’è un dato preoccupante, messo in evidenza da uno studio di Unindustria, che qui riassumo:
– Da marzo 2014 a marzo 2015 i salvadanai degli italiani sono passati da 1.482 miliardi di euro a 1.551 miliardi in salita di quasi 70 miliardi (+4,68%).
– L’onda lunga della crisi e la paura di nuove tasse stoppano i consumi delle famiglie, frenano gli investimenti delle aziende e congelano la liquidità delle banche: crescono, così, di 70 miliardi di euro le riserve, vale a dire il denaro lasciato nei depositi e nei conti correnti.
– Nell’ultimo anno i salvadanai delle aziende, dei cittadini, degli istituti di credito, delle onlus, delle assicurazioni e dei fondi pensione sono aumentati, complessivamente, da 1.482 miliardi a 1.551 miliardi in crescita di 69,4 miliardi (+4,6%). Per le famiglie l’incremento dei tesoretti è pari a 20,7 miliardi (+2,39%) e per le aziende a 11 miliardi (+5,59%), mentre le banche, che continuano a tenere serrati i rubinetti dei prestiti (in calo di 22 miliardi), la liquidità è cresciuta di 42,7 miliardi (+13,30%).
Da questi dati appare evidente che chi guadagna non investe, cioè non ha fiducia nel futuro; che non ci sono idee nuove su cui puntare; che si cerca di mettere al riparo, in modo lecito o illecito, il proprio gruzzolo; che ci si attende il peggio. Da che parte? Da una politica italiana senza progetti? Da un’Europa immobilista? Da un contesto internazionale oscuro e minaccioso? Probabilmente da un mix di tutte queste cause messe insieme. Con il risultato che trionfa non l’individualismo creativo ma l’egoismo remissivo. Modestia degli uomini o modestia dei tempi? Il barcone dell’Italia è ancora in alto mare.