Regione Sicilia: Lombardo vuole abolire le province

Creato il 08 luglio 2011 da Lanzaron @lanzaron
Giuseppe Alessi, primo presidente della Regione siciliana, uno dei fondatori della Democrazia cristiana, avrebbe voluto abolirle il giorno dopo la sua elezione. Era un autonomista convinto, avrebbe voluto che lo Statuto speciale della Regione siciliana fosse rispettato.  
Né prefetture, né province, ma comuni e liberi consorzi comunali come prescrive l’articolo 15.
Statuto della Regione Siciliana - Art. 15
1. Le circoscrizioni provinciali e gli organi ed enti pubblici che ne derivano sono
soppressi nell'ambito della Regione siciliana.
2. L'ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui Comuni e sui
liberi Consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria.
3. Nel quadro di tali principi generali spetta alla Regione la legislazione esclusiva e
l'esecuzione diretta in materia di circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali.
La Commissione dei 75, che preparò la Carta costituzionale, le aveva soppresse in tutta la Penisola, ma l’Assemblea costituente le resuscitò. Battaglia persa, sia nell’Isola maggiore quanto nel resto dell’Italia.
Nel 1970 con la nascita delle Regioni, un altro siciliano, Ugo La Malfa, come Giuseppe Alessi, si batté per abolirle, sostenendo che si trattava di doppioni. Nel 1991 erano 95, negli ultimi quindici anni ne sono state istituite quindici. Le ultime nate sono Fermo, Monza e Bat (acronimo che sta per Barletta, Andria e Monza).
Nel 2010, alla vigilia dell’estate, mentre si preparava una manovra di contenimento che avrebbe richiesto i sacrifici, dai banchi della maggioranza di governo si propose un taglio dei costi della politica, a cominciare dall’abolizione delle province e delle comunità montane e l’accorpamento dei piccoli comuni. Una misura, si disse, che avrebbe sicuramente regalato risparmi all’erario. Non se ne fece niente.
L’ultimo assalto, anch’esso andato a vuoto, per sopprimere le province si è svolto a Montecitorio, dove una proposta di abolizione dell’Italia dei Valori è stata bocciata dal Pdl e dalla Lega, approvata dal Terzo Polo. Il Partito democratico si è astenuto, consentendo la bocciatura.
Oggi abbiamo otto livelli di governo. Le province hanno 61 mila dipendenti, spendono 13 miliardi l’anno circa e costano 160 euro a testa per ogni italiano. Sono amministrate da 110 presidenti, mille assessori e quattromila consiglieri, per i quali lo Stato spende 119 milioni di euro l’anno, una cifra che non fa conto dell’indotto politico, non quantificabile in termini di risorse. Il budget delle province è cresciuto negli ultimi anni del 65 per cento, metà delle risorse – sei miliardi e mezzo circa - i tredici miliardi servono per pagare gli stipendi, il resto per le scuole e l’ambiente.
Il Partito Democratico vanta il maggior numero di amministrazioni provinciali con 40 presidenti; seguono il Pdl con 36, la Lega con 13, l’Udc con 5 e l’Mpa con 2. I partiti che hanno bocciato la soppressione delle province, richiesta dall’Idv – con il voto contrario o l’astensione – sono quelli in testa alla graduatoria, e cioè il Pd, il Pdl e la Lega. L’Udc e l’Mpa hanno votato a favore dell’abolizione, auspicata dall’Italia dei Valori, che non presiede alcuna amministrazione provinciale.
La considerazione è inevitabile: la soppressione la chiedono i partiti che non amministrano e l’avversano gli altri. Ma sarebbe ingiusto fermarsi qui. L’Udc, per esempio, e l’Mpa sono presenti al vertice delle province, seppure con un numero modesto. I partiti che amministrano le province hanno un problema in più nel decidere la loro soppressione. Farebbero arrabbiare migliaia di amministratori, una fetta importante della loro classe dirigente. Ma questa motivazione non la riveleranno mai, nemmeno sotto tortura, inutile aspettarsela.
La Lega Nord ha puntato i piedi lo scorso anno con risolutezza, ponendo il veto. Quelle tredici amministrazioni provinciali stanno tutte al Nord, abolire le province significherebbe per loro farsi mancare il terreno sotto i piedi. Sono Secessionisti di governo e federalisti “provincialisti” (o provinciali, scegliete voi).
Dopo avere bocciato qualche giorno fa la proposta di soppressione dell’Idv, i leghisti hanno lanciato un altro urlo di guerra contro le prefetture: province intoccabili, semmai “ministeriali” (dovrebbe essere la provincia di Monza ad ospitare i tre Ministeri romani) , prefetti a casa.
Il Presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, all’indomani della bocciatura di Montecitorio ha ribadito la volontà, manifestata già sei mesi or sono, di sopprimere le nove province. In Sicilia, a differenza che nella Penisola, la soppressione non avrebbe bisogno di alcuna legge né norma costituzionale, perché lo Statuto speciale della Regione prevede che nell’Isola l’ordinamento degli enti locali si basi sui comuni e sui liberi consorzi di comuni. La soppressione delle province, perciò, attuerebbe lo Statuto speciale.
Già sei mesi or sono, d’accordo con il Pd, il governatore sollevò la questione, facendone un provvedimento caratterizzante della nuova maggioranza. Sarebbe stata la risposta al fallimento delle proposte romane di soppressione. Ma la questione, pur essendo stata posta con determinazione, non venne nemmeno affrontata.
Oggi Lombardo ripete il tentativo, anche questa volta all’indomani di un nuovo assalto romano alle province. Farebbe carte false per dare lo smacco a Roma. Il trionfo dell’autonomismo ed un taglio consistente ai costi della politica (gettoni di presenza e stipendi per quasi quattrocento amministratori, indennità per assistenti, uffici di segreteria, apparati e spese varie). L’indennità dei presidenti delle province varia da circa settemila seicento euro a cinquemila seicento, a seconda del numero di abitanti (circa 50 mila euro gli stipendi più alti degli assessori, 3300 euro i più bassi). Poi vanno calcolati i gettoni ai consiglieri, non più di 21 sedute al mese a 126 euro per ogni seduta, sicché un consigliere nelle province più popolose può ricevere 2700 euro circa ed in quelle meno popolose qualcosa di più di mille euro.
La soppressione delle province cancellerebbe le spese degli amministratori e dei loro apparati, ma non il resto. Le competenze e i dipendenti passerebbero ai comuni o ai liberi consorzi.
Ce la farà il governo Lombardo laddove non riuscì Giuseppe Alessi sessantotto anni or sono e la Camera dei deputati tre giorni or sono?
Fonte: http://www.siciliainformazioni.com

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