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Relitti sommersi - Punta Iria

Creato il 09 settembre 2010 da Pierluigimontalbano
Relitti sommersi - Punta Iria
Relitto di Punta Iria
Nel settembre 2008 si è svolto sull'Isola di Spetses, nel Golfo dell'Argolide, un convegno internazionale per lo studio del tardo Bronzo: “The Point Iria Wreck”, interconnessioni nel Mediterraneo nel 1200 a.C., dedicato al relitto di Punta Iria, una nave cipro-micenea della fine del Xlll a.C.
Ai lavori, diretti dal professor Spyros lakovides, membro dell'Accademia di Atene, hanno partecipato Eugenios Yannakopoulos, Segretario Generale del Ministero della Cultura, Nikos Tsouchlos, Presidente Fondatore dell'Hellenie Institute of Marine Archaeology, e Haralambos Pennas, direttore della seconda Eforia di antichità bizantine nonché degli scavi di Punta Iria.
Gli archeologi dell'Hellenic Institute of Marine Archaeology (HIMA), responsabili della ricerca, hanno fornito i loro resoconti:
. C. Agouridis, sulla scoperta e lo scavo
. Y. Lolos ha presentato le sue analisi stilistiche e storiche sul carico di ceramica
. Y. Vichos ha offerto le sue considerazione sulle rotte e le condizioni nautiche nell'ambiente attorno alla Punta Iria all'epoca del naufragio.
. A. Kyrou ha esaminato l'evidenza di punti d'appoggio e di insediamenti costieri preistorici nel Golfo dell'Argolide.
. V. Karageorghis ha discusso vari aspetti degli scambi commerciali tra Cipro e l'Occidente durante il XIV e il Xlll a.C., sottolineando la crescente importanza di Cipro a scapito del mondo elladico.
. C. Pulak ha concluso i lavori con un resoconto degli ultimi studi sullo scafo del relitto di Uluburun.
I lavori sono stati abbinati all'apertura nel Museo di Spetses di una mostra sui materiali provenienti dal relitto, e all'edizione del relativo catalogo con testi in greco e inglese.
Il relitto di Punta Iria fu avvistato negli anni Sessanta dal subacqueo veterano Nikos Tsouchlos nel Mare Egeo lungo la costa orientale del Golfo dell'Argolide, davanti alla punta da cui ha preso il nome; al ritrovamento seguirono ricognizioni e scavi effettuati dall'Hellenic Institute of Marine Archaeology (HIMA) dal 1991 al 1995. Il tratto di costa in cui la nave è naufragata è ancora oggi pericoloso per la conformazione montuosa e per la presenza dell'isolotto antistante di Psili, che insieme creano una zona di venti potenti e variabili nonché di forti correnti.
La nave giaceva a una profondità dai 12 ai 27 metri, ad una quindicina di metri dalla riva; il sito si presentava come un cumulo di pithoi (grandi giare da trasporto), anfore e vasetti che copriva un'area di circa 100 metri quadrati. Fu questa scoperta che spinse Tsouchlos ad interessarsi dell'archeologia subacquea egea, e che portò infine alla formazione dell'HIMA. Nel 1991 fu effettuata una campagna di ricognizione; dal 1992 al 1994 si organizzarono delle campagne di scavo sulla zona di massima concentrazione dei reperti.
Il materiale rinvenuto venne portato al Museo di Spetses dove furono eseguiti accertamenti, pulizie e processi di conservazione. I rapporti di scavo vennero regolarmente pubblicati nella rivista dell'HIMA, Enalia, in greco e in inglese, e negli atti di vari simposi internazionali.
Il carico della nave comprendeva 25 vasi da trasporto e da utilizzo comune, con tre provenienze: Cipro, Creta e il mondo Elladico. Al Tardo Cipriota IIC/IIIA appartiene un gruppo di otto vasi, tra i quali tre pithoi senza maniglie e parte di un quarto, tutti con decorazione a rilievo attorno alla spalla, oltre a tre brocche di varie dimensioni. I pithoi trovano confronto tutt'attorno al Mediterraneo tra il XIV e il Xlll a.C., come vasi da trasporto per eccellenza sia per l' olio d'oliva che per la frutta.
Un altro gruppo di otto vasi si identifica, in base alla forma, come materiale cretese, specificamente del Tardo Minoico IIIB 2, ed è composto interamente da vasi a staffa alti circa 40 cm. Questo tipo di vasi era di solito usato per il trasporto dell'olio d'oliva, e la loro distribuzione nei siti del XIV e il XIII a.C. si estende dalla costa levantina e da Cipro fino alla Sardegna e alla Sicilia.
Il terzo gruppo di ceramica rappresenta la fase micenea del Tardo Elladico IIIB, e comprende 9 vasi, di cui tre vasi semplici, profondi, senza maniglie di tipo elladico tradizionale, insieme ad un'anfora che porta due simboli incisi sulle maniglie, probabilmente connessi alla scrittura Ciprominoica 1.
Inoltre ci sono alcuni vasi di ceramica fine come il krater profondo a beccuccio e frammenti di due ciotole, una delle quali con decorazione dipinta.
Altre quattro ciotole di ceramica comune farebbero parte del vasellame di bordo. Un tale assemblaggio di vasi da trasporto riflette appunto le interconnessioni commerciali e culturali internazionali esistenti in quest'epoca attraverso il Mediterraneo orientale. Insieme ai dati provenienti dai relitti di Uluburun e di Capo Gelidonya (nave del XII a.C. più piccola impiegata in scambi di piccolo cabotaggio) ci aiutano a delineare l'evoluzione degli scambi economici del Mediterraneo.
Anche per il relitto di Punta Iria si pone la questione della nazionalità della nave, ma ancora una volta il miscuglio di oggetti rinvenuti a bordo, sia del carico che di uso comune, indica che il commercio marittimo era sicuramente gestito da gruppi eterogenei.
Delle attrezzature di bordo si sono recuperate tre ancore, di cui una trapezoidale di piroxenite con un foro, pesante 43 kg. Le altre due dispongono di tre fori e sono una di arenaria (kg 26) e l'altra di una scura roccia vulcanica (kg 34); è possibile che queste fossero troppo piccole come ancore di sostegno, ma che invece facessero parte della zavorra. La mia ipotesi è che potesse trattarsi di pietre multiuso con possibile funzione di unità ponderale, visto che il peso dei lingotti ox-hide in rame è quasi identico.
Comunque, solo una può con sicurezza essere connessa con il carico di questa nave, poiché ritrovata nell'area di concentrazione dei reperti. Altri oggetti trovati nei dintorni della zona di scavo, quali anfore ed ancore di epoche e provenienze diverse, confermano la natura insidiosa di questo tratto di costa.
I resti dello scafo sono limitati a dei piccoli frammenti lignei, uno dei quali reca un foro semicircolare realizzato artificialmente: indizio modesto, ma forse sufficiente, di un sistema di costruzione a mortase e tenoni. In base alla disposizione dei reperti sul fondale e alla loro consistenza, si ipotizza che la nave misurasse circa 10 m di lunghezza, e che, supponendo che il carico al momento del naufragio fosse più grande, portasse un carico di almeno tre tonnellate.
Nell'immagine (link: www.travel.webshots.com) il carico del relitto di Ulu Burun, dove si nota il particolare sistema di stivaggio dei lingotti ox-hide.

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