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Creato il 21 maggio 2012 da Povna @povna

Quando ha abbandonato definitivamente via dei Matti, lasciando in giro un’occhiata circolare alle pareti vuote, la cosa che le ha fatto più impressione non è stata la lunga teoria dei ricordi – ombre, immagini e spettri di quindici anni di se stessa che si accanivano sui muri. Né è stato pensare ai volti di coloro che in quella casa ci erano passati, in maniera cursoria, o invece pure stabile: Linus, il Marinaio con gli occhi chiari, l’Amico Mostro, l’Acchiappanumeri, Ohibò, Tabata con Darling, Zivago, l’Anziana di Ginevra e lo Storico Saggio quando scendevano giù dal loro esilio nordico il primo anno di insegnamento, ancora senza casa. Non ha pensato ai tempi in cui nella piccola città vivevano ancora Ciri con El Mamo, o Alexia con Monica e Tonica, e a tutte le volte che via dei Matti è stata il centro propulsivo – dai mondiali al referendum – di qualcosa.
Non ha pensato nemmeno alle conversazioni col narratario fuori dalla finestra, un’estate fa soltanto che sembrano passati cento anni, e la ‘povna si lamentava che la sua vita era sempre lì, statica e ferma, ancora appesa fuori dalla stanza, per parlare al cellulare. Non ha pensato alla Tuta Bianca, a Nastenka e ai pranzi con gli alunni (e alle prime volte che tornava da scuola, dieci anni fa).
Tutto questo – per quanto essenziale, e inciso a fuoco sulla pelle – le è venuto in mente solo dopo, adesso. Quando – il gas attivato e la cucina e la lavatrice funzionanti – riemerge dal mare di scatole, riceve le visite di persona o telefoniche, inizia a prendersi, lentamente, le misure. E a riflettere sulla soddisfazione di un trasloco portato a termine da sola, cassa dopo cassa: senza (come è solo giusto, normale e sacrosanto) nessuna briciola di sconto sui suoi lavorativi e scolastici doveri.
Quella che è passata allora, invece – mentre chiudeva tutto, e si lasciava alle spalle la porta massiccia – è stata la pellicola di ciò che avrebbe potuto essere: perché poche cose sanno dare voce alle speranze inespresse più di una serie di stanze svuotate della vita vera che si è vissuta in quindici anni. Così, per un attimo, la ‘povna si è vista non una, ma cento altre vite davanti. Quelle che si sarebbero snodate in via dei Matti a partire dal 13 settembre del 1997, se la trama non avesse preso, volta per volta, questa o quella strada.
Ma poi ha scosso la testa, e ha lasciato perdere; ché intorno a lei i mucchi di mobili, libri, carte e cose sparse ovunque stavano lì a dimostrare l’unica realtà possibile.
Per tutto il resto, un’altra volta, lei lascia la parola al suo Calvino.

“Marco entra in una città; vede qualcuno in una piazza vivere una vita o un istante che potevano essere suoi; al posto di quell’uomo ora avrebbe potuto esserci lui se si fosse fermato nel tempo tanto tempo prima, oppure se tanto tempo prima a un crocevia invece di prendere una strada avesse preso quella opposta e dopo un lungo giro fosse venuto a trovarsi al posto di quell’uomo in quella piazza. Ormai, da quel suo passato vero o ipotetico, lui è escluso; non può fermarsi; deve proseguire fino a un’altra città dove lo aspetta un altro suo passato, o qualcosa che forse era stato un suo possibile futuro e ora è il presente di qualcun altro. I futuri non realizzati sono solo rami del passato: rami secchi.” (I. Calvino, Le città invisibili)


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