Ecco un titolo che, uscito da pochi giorni, è già riuscito a porre l’attenzione della stampa internazionale su di se.
E l’attenzione generata da questa nuova Ip di Capcom è proprio figlia della stessa stampa, perchè il titolo, uscito più in sordina che mai, lontano dagli urli pubblicitari che sono basilari al lancio di una nuova Ip, è riuscito a mettersi in evidenza agli occhi del mondo videoludico proprio in virtù dei discordanti pareri dei vari siti specializzati. Tra chi lo elegge come vera gemma di fine generazione in virtù della sua spiccata originalità tematica, e chi invece lo bolla come un gioco eccessivamente monocorde, i pareri contrastanti davvero si sprecano.
E noi, che lo stiamo in questi giorni visionando, ci teniamo prima di tutto a rammentare in via preventiva quello che il gioco intende comunicare al giocatore, così da donare le chiavi di lettura adatte a far capire il perchè questo gioco potrebbe seriamente rivelarsi come una delle opera di cui davvero potrebbe valere la pena avere memoria.
Remember Me pone la sua attenzione sull’importanza dei ricordi.
Non solo, ma andiamo per ordine.
Il titolo ci immergerà in una Parigi futuristica (Neo-Paris) nell’anno 2084, dove una grossa multinazionale (la Memoreyes), ha la possibilità di “storare”/estrarre/modificare i ricordi. Nata inizialmente con le migliori intenzioni e sotto la più grande acclamazione, è ora caduta nei classici giochi di potere di cui cade vittima ogni multinazionale che si rispetti, dimenticando gli iniziali etici intendi di miglioramento della vita comune. Ora detiene un controllo totale sulla società, una società che in lei si rispecchia, vittima inerme, e che fa nascere ogni suo cittadino correlato di un dispositivo di archiviazione della memoria (Sensation Engine) che la Memoreyes sfrutta a piacimento per esercitare il suo dominio.
E in questo ambiente ci muoveremo noi, con la nostra protagonista Nilin, ragazza dura e seducente facente parte di un gruppo reazionario (gli Errorist) che si oppone a questa società tentando di limitarne i danni e sabotarne gli intenti. Danni che si ripercuotono sui singoli individui, perché chi abusa di queste trasfusioni/alterazioni di memoria, perde lentamente la sua identità, rischiando di diventare un “reietto” un “Leaper”.
Questo è il background di base che farà da sfondo alle vicende. Ed è sufficiente basarsi su questo,o sulle interviste al direttore creativo (Jean Maxime), per notare le importanti tematiche più che mai attuali che vengono trattate in quest’opera.
Partendo da un tema come la volotà di alterazione di un ricordo per fini salvifici, tematica cara a film come “Eternal sunshine of the spotless mind” o “Vanilla Sky“, ecco che ci viene nuovamente descritta una società umana che all’apice della sua evoluzione non aspetta altro che l’ulteriore spinta tecnologica per avere una facile via di fuga dal dolore. Un dolore che però si autoinfligge con la sua spinta corsa evoluzionistica, e a cui però poi tenta vigliaccamente di ritrarsi, scadendo nel sotterfugio immorale, non capendo ancora una volta che non è possibile sottrarsi alla catarsi della sofferenza senza dover rinunciare alla totalità della propria natura umana, che comprende anche la felicità.
Ed ecco che all’oscuro di questo processo degenerativo nascondo questi Leaper, ritratto e satira dell’uomo moderno, una creature persa, megalomane alla ricerca di se stessa, di una identità a cui ha volontariamente deciso di rinunciare perché affascinato e tentato dalla possibilità di non soffrire.
Dal trailer:
“prendere l’essenza di qualcuno
e riscriverne il passato
è come essere Dio”
Ulteriormente a questo tema è possibile leggere chiaramente anche il deciso senso di denuncia rispetto alla digitalizzazione dei ricordi a cui ci stiamo velocemente sottoponendoci ora, e a cui non diamo il giusto peso. Un peso che potremmo pagare a caro prezzo, sia in termini economici, sia in termini antropologici.
Sempre di più tendiamo a condividere (Social Network, sistemi di telecomunicazioni onnipresenti ed onniscienti) vari frammenti che compongono il nostro essere. E lo facciamo di continuo. Il pericolo di andare incontro ad una progressiva perdita di identità, data dal risconto della cosa e dalla ricomposizione continua di questi frammenti condivisi, è alto. L’immagine che diamo molte volte, naturalmente si scontra con l’immagine che noi stessi abbiamo di noi, l’immagine che “siamo”, e quando perdiamo il tempo necessario per rimanere soli con noi stessi, perdiamo la nostra stessa possibilità di auto-affermazione personale, a cui rimanere saldamente aggrappati in questo scontro continuo a cui siamo sempre più chiamati. Ed ecco che perdere il tempo per la nostra intimità diventa, in un’epoca di connessione continua, la via più breve per non ricordarci più chi davvero eravamo, ed essere così trasportati via dalle immagini che gli altri hanno di noi.
E non è solo lo sharing il “male” che si vuol sottolineare, ma il continuo “upload” che facciamo di ogni frammento della nostra vita privata, in questa rete “generale” a cui a troppi permettiamo l’accesso. Questo abbatte lentamente il “limite” personale dell’Io, portandoci ad essere sempre più un organo comune rispetto ad una coscienza singola, a cui tutti possiamo attingere e da cui tutti possiamo drenare le stesse cose, e che ci può portare a perdere il contatto con la nostra vera pelle.
Se tutti sanno tutto, tutti sono tutti.
E in tutta questa condivisione, in tutta questa comunicazione del ciò che ci piace o meno, facile è inserirsi per queste multinazionali nel nostro circuito di piacimento, che permette loro così di diventare, senza neanche il tempo di accorgercene, la nostra nuova terra da calpestare, delle sabbie mobili da cui è ormai impossibile uscire. Non per niente l’infido e bipolare slogan della “MemorEyes” che ci appare in tutta la sua claustrofobica e maestosa presenza è “ Trus Us. We won’t forget you”.
Un gigantesco e pericoloso occhio sociale a cui non è più possibile sottrarsi, che ci pone in una sorta di gabbia dalle sbarre pubblicitarie, un tema ripreso anche ad esempio ultimamente dal Batman Rises di Nolan.
Ed ecco quindi il succo contenuto in quest’opera difficile, che con coraggio, tenta di districarsi in un territorio poco battuto ancora in ambiente videoludico. Un territorio fatto di contenuti seri ed importanti che si scontrano con la necessità naturale di un gameplay comunque all’altezza e vivace. Un difficile equilibrio che potrebbe o non potrebbe aver raggiunto.
Ma chissà che forse anche questa mancanza di equilibrio, non sia infine una delle caratteristiche necessario a fare di Remember Me un gioco da non dimenticare.