Renzi e la macchina inceppata dello Stato

Da Brunougolini


Sono quelli che vediamo spesso dietro gli sportelli e che spesso giudichiamo come dei privilegiati, colpevoli di ritardi, d’inefficienze spaventose. Sono quelli per i quali il nuovo presidente del Consiglio Matteo Renzi ha deciso d’intervenire: “La macchina burocratica è il primo ostacolo da abbattere”. Sono anni e anni che si ribadisce questa decisa volontà. Ma perché rimangono sempre parole al vento? Perché non s’interviene sulle cause vere che intoppano questa “macchina”? Le ricette del passato hanno sempre vagato tra semafori più o meno verdi o l’eliminazione di una buona fetta dei guidatori. Eppure proprio a loro, o meglio a tanti di loro, quelli che un tempo si chiamavano “servitori dello Stato”, bisognerebbe ricorrere per produrre innovazione ed efficienza.
E’ un messaggio che traspare da una ricerca promossa nel 2013 dalla Funzione Pubblica Cgil di Milano con l’Università degli studi sempre di Milano. Tra i tanti esiti dell’indagine, illustrata da Ida Regalia, nel corso di un convegno (e pubblicata da “Rassegna sindacale”), scaturisce un interesse non secondario atto a conquistare concreti traguardi di produttività. Hanno partecipato a queste “Immagini del lavoro, come vedono che cosa si aspettano i dipendenti pubblici”, in totale 3537 persone, pari al 5 per cento dei 66.602 dipendenti. I due terzi erano donne e il 4,4 per cento di loro erano atipici, precari. Il quadro che ne esce parla (per il 47,2 per cento) di un lavoro eccessivo rispetto al personale disponibile, di una strumentazione inadatta (la digitalizzazione mancata) per il 30,1%. Mentre la stragrande maggioranza pensa di non aver davanti una prospettiva di carriera, di crescita professionale (con conseguente mancata spinta a far meglio). E se si hanno problemi di organizzazione del lavoro si preferisce cercare il parere dei colleghi piuttosto che dei superiori. Questo anche perché il giudizio sui dirigenti non sembra essere molto positivo visto che l’indagine annota quasi un plebiscito a favore della scelta di dirigenti in base alle competenze e non a valutazioni politiche, onde ottenere una loro maggior responsabilizzazione, una loro effettiva autonomia gestionale, con l’organizzazione delle attività per obiettivi predefiniti "introducendo metodi di valutazione e misurazione della produttività dell'ente, del merito e dell'apporto individuale". Certo per agire in tal senso occorrono anche risorse economiche. Osserva, nel corso di una tavola rotonda Marzia Oggiano (Fp Cgil), come non sia possibile pensare di poter premiare il merito, la professionalità quando le risorse salariali sono nulle o irrisorie. E’ uno dei temi sui quali ha martellato il governo di centrodestra: ridurre gli organici (i dipendenti del Comune di Milano sono passati, ad esempio, dai 24 mila del 1998 ai 15 mila di oggi).
Eppure è proprio su loro che sarebbe necessario far leva ridando orgoglio alla risorsa pubblica, spezzando clientele e favoritismi, non lasciando che i lavoratori pubblici si cullino nella solitudine e nella frustrazione. Se le cose non vanno, secondo Walter Bergamaschi, direttore dell’azienda ospedaliera Niguarda, "i primi ad accorgersene sono gli stessi lavoratori". Per questo propone, un nuovo patto. C’è chi (Nunzio Fragonetti direttore “risorse umane” presso il Comune di Milano) accenna ad esperienze innovative ad esempio sull’annoso problema della necessaria mobilità tra un posto e l’altro attraverso candidature on line.
Eppure nel passato, nel 1993, con l’impegno di D’Antona, Bassanini, Trentin, si era tentata una svolta, attraverso la privatizzazione del rapporto di lavoro. "C'è stato un fallimento delle amministrazioni, dei datori di lavoro”, racconta Antonio Naddeo (capo dipartimento funzione pubblica presidenza del consiglio). Non hanno individuato “in quello strumento (il contratto decentrato) lo strumento utile per la gestione del personale”. Sono dirigenti inamovibili. "Nessun dirigente va mai a casa".
Ecco spunti e suggerimenti per Renzi. Il sindacato è pronto a fare la sua parte, promuovendo, come sottolinea Rossana Dettori, segretaria generale Fp Cgil, una “alleanza con i cittadini utenti”. Il governo, i pubblici poteri devono fare la loro, riconoscendo il ruolo del mondo del lavoro e delle sue rappresentanze, tornando a rispettare la contrattazione dal basso e non favorendo la centralizzazione, come hanno fatto i ministri Sacconi e Brunetta, rompendo le norme del 1993.

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