La vendetta è un piatto che va servito freddo. Ed ecco che dopo un anno e poco più Renzi si è preso la sua rinvincita. In questo periodo in tanti sono finiti sul suo carro, tanti – a dirla tutta – che meriterebbero di essere rottamati, ma che si improvvisano rottamatori. Del resto se col partito ci campi, qualche giravolta è necessaria.
I più incazzati sono i renziani della prima ora. Ne hanno le ragioni: oltre all’astio per la vecchia guardia, in molti casi si sono visti sorpassati dai renziani dell’ultima ora. Altrimenti detti: i camaleonti. Uno dei più granitici seguaci del sindaco fiorentino è l’ex sindaco di Piacenza Roberto Reggi che – sorpassato da Stefano Bonaccini nel ruolo di coordinatore della campagna elettorale – si è tolto qualche soddisfazione solo a vittoria ottenuta, invocando il rimpasto dell’attuale giunta di Piacenza sulla base dei nuovi equilibri di partito. Obiettivo: colpire la componente che gli era stata ostile. Reggi – principale antagonista della terna Errani-Bersani-Migliavacca – aspira all’azzeramento del vecchio, ma finché sarà la logica delle quote a prevalere, il partito dovrà convivere con le correnti.
Non a caso nelle segreterie c’è un po’ di tutto: renziani (in netta maggioranza), ma anche cuperliani e civatiani. Un misto frutta che rende impossibile il rinnovamento. E mentre la pattuglia del sindaco fiorentino già pensa come prendersi qualche soddisfazione e come programmare il futuro, strati di partito si arrovellano sul passato. Bersani e i suoi sul passato hanno costruito la storia di un ‘martirio’ politico. L’altro giorno l’ex leader Pd era a Piacenza. L’occasione, sempre quella: la presentazione di “Giorni bugiardi”, scritto dal suo portavoce Stefano di Traglia e da Chiara Geloni. “Per il Quirinale – ha detto a un pubblico di nostalgici e fedelissimi – avevamo individuato prima Franco Marini, poi Romano Prodi. Ma i grandi elettori, di fronte a uno dei padri dell’Ulivo e del Pd prima e uno degli uomini maggiormente rappresentativi in Europa poi non garantirono alle istituzioni il dovuto rispetto. Anzi. Mi ritrovai con un centinaio di franchi tiratori e capii che la situazione aveva preso non solo una brutta piega, ma una strada non percorribile”.
Ecco la sequenza della caduta di Bersani, nelle parole del protagonista. Un attimo dopo la citazione del titolo di Le Monde di quei giorni, sbandierato come un mantra: “Abbatterono Prodi, ma per affondare me”.
Peccato che anche Prodi (vittima della ‘congiura’) abbia superato – pur con difficoltà – quella stagione. Ora il professore guarda avanti. Anche il vecchio establishment ne sarà capace?
Filippo Manvuller