Anna Lombroso per il Simplicissimus
Non sono una fan di Frankenstein, non mi interesso granché alla rianimazione impossibile di cadaveri. Stimolazioni cardiache a un partito senza cuore e senza cervello, risvegli meccanici o chimici, riciclaggi post-rottamazione non suscitano in me alcuna speranza che dal defunto o dal gran rifiuto si possa trarre un soffio di vita o qualche sostanza preziosa.
Se poi a gridare “libera libera” e a praticare la respirazione bocca a bocca è il sindaco di Firenze, se la fantascienza sconfina nel grottesco di un horror girato dal Pieraccioni, è inutile tornare sul già detto e ridetto, anche se è suggestivo che destra e sinistra, conservatori e futuristi, apocalittici e integrati concordino unanimemente che si tratta appunto di una figura degna di Frankenstein, sortita dal ricordo dell’arcaica sinistra per incarnare la destra moderna.
Ma a consolidare questa convinzione bi-partisan secondo la quale è lui la più riuscita allegoria dell’applicazione del marketing alla politica e alla rappresentanza, ecco che il sindaco lancia un “contest” su scala internazionale per selezionare un “designer” che proponga il “brand” per l’”asset” Firenze, cui spetterà un “award” messo a disposizione dallo sponsor Audi. Il concorso sarà gestito da Zooppa, start up dell’incubatore veneto di H-Farm, che si ispira ai principi del crowdsourcing e alle dinamiche dei social network. H-Farm fa tra l’altro riferimento all’imprenditore Renzo Rosso, il patron di Diesel che non ha mai fatto mistero di guardare con favore a Matteo Renzi.
Insomma si tratterà di un bollino blu, di un cuore come nel caso di I love New York, di una scritta con la F maiuscola come la M di Melinda, pensata, cito, per proiettare la città del Giglio in una dimensione nuova, che non mandi in giro per il mondo il “solito” Duomo o i “soliti” Uffizi, ma un logo moderno, che parli di futuro e sappia competere con i rivali, come la sirenetta di Copenhagen o l’ “I’Amsterdam”.
Secondo il sindaco la diffusione di massa del marchio doc è un’operazione necessaria e irrinviabile per, cito nuovamente, iniziare a “riconoscere Firenze da Shangai a Dublino”.
Il Bignami di economia col quale si è preparato per la Leopolda, o le lezioni impartitegli in fretta da Zingales devono aver trascurato il capitolo sui beni posizionali e sulla necessità molto contemporanea di calmierare la fruizione e il consumo di luoghi d’arte e paesaggi naturali, per garantire conservazione e tutela. Ed anche per valorizzarne la qualità e renderne socialmente produttiva l’utenza contro gli abusi consumistici e degeneranti.
Concetti estranei al Renzi che teme che magari Dubai o peggio ancora Disneyland, un suo luogo del cuore c’è da immaginare, battano Firenze sul terreno della concorrenza. E infatti spiega: “Firenze non è un brand , perché avere un brand significa essere riconoscibile a livello mondiale e anche ricavare denaro che è nostra intenzione reinvestire in cultura, così come fatto per il contributo di soggiorno”.
Non c’è mica da stupirsi per le esternazioni del sindaco che si è vantato di voler fare degli Uffizi una “macchina da soldi” e che ha noleggiato Ponte Vecchio alla Ferrari di Montezemolo, per una “cena elegante” (e a me l’evocazione di altre “cene eleganti” fa venire i brividi). Chi se ne è scandalizzato è stato tacciato di snobismo e moralismo, ma restano aperti gli interrogativi sulla discutibile operazione: il sindaco Renzi ha annunciato che il canone di 120.000 (di cui però nel bilancio comunale non sembra esserci traccia) avrebbe dovuto rimediare ad un analogo taglio alle vacanze dei bambini disabili (ugualmente non documentato). E l’opposizione in consiglio comunale ha svelato che almeno una parte delle autorizzazioni ai ferraristi è stata concessa solo il giorno successivo all’evento. E che al sindaco, talmente incantato dalle tecniche di marketing da fare ininterrottamente il commesso viaggiatore di se stesso, si addica la festosa e giovanile trasformazione della città d’arte in roboscopico luna park, si deduce dalla irriducibile determinazione a trivellare gli affreschi di Vasari in Palazzo Vecchio alla ricerca della Battaglia di Anghiari di Leonardo, o dall’altrettanto implacabile volontà di “realizzare” oggi la facciata che Michelangelo aveva allora progettato per San Lorenzo.
E mentre Viollet le Duc esulta per l’ipotesi di “costruire” incompiute celebri e ricostruire monumenti erosi dal tempo, mentre Parah gioisce preparandosi a coprire con tende e cortine il Colosseo e mentre innumerevoli mecenati allestiscono la loro partecipazione al bottino imbandito per gli sponsor, Dante piange per le scorrerie barbariche negli anglicismi più beceri e Michelangelo geme per l’abuso edilizio. E noi con loro.