In tema di riforme istituzionali e riduzione dei parlamentari, Matteo Renzi, ci da un taglio netto: soppressione del Senato della Repubblica.
Manca meno di un mese oramai all’8 dicembre, data delle votazioni per la scelta del nuovo segretario Pd, e Renzi candidato alle primarie, scopre un’altra carta, questa volta in tema di
riforme istituzionali: abrogazione del Senato della Repubblica.
Con una mossa non certo a sorpresa, da un po’ ci ha abituati ai suoi intenti con soluzioni radicali, vedesi la rottamazione dei politici e classe dirigente, merito, ricambio istituzionale, abolizione delle province, taglio alla PP.AA ecc. adesso giunge l’annuncio della possibile eliminazione del Senato, come organo istituzionale.
Una mossa che libererebbe la politica dalla lentezza nell’emanazione legislativa di cui soffre, dell’ingolfamento normativo derivante dalla doppia approvazione dell’identico testo di legge, dall’odioso fenomeno della ”navette “ normativa (il ritorno all’altra camera per la relativa approvazione se modificata), accelererebbe l’iter dell’approvazione delle leggi, abbasserebbe i costi, le spese e la burocrazia della politica.
L’eventuale eliminazione concentrerebbe la vita politica pubblica in una sola sede e andrebbe incontro alle tanto disattese aspettative dei cittadini circa la riduzione del numero dei parlamentari richiesta a gran voce.
Finora nessun partito aveva mai osato tanto, si era parlato di modifiche in senso federale, di una delle due camere, di un senato delle regioni, di limitazioni alle funzioni ed attribuzioni, di svuotamento dei poteri, di fiducia del governo unicamente ad una camera, ma mai di soppressione.
Perché proprio il senato? Forse perché inizialmente era un organo privo di rappresentatività, la nomina dei senatori era una prerogativa riservata alla corona su proposta del governo, o perché nonostante i ben 315 senatori più i senatori a vita, fra le due camere, ha sempre avuto un considerazione secondaria riguardo l’attività politica svolta.
Riforma comunque più facile a dirsi che a farsi, visto la rigidità della nostra carta costituzionale, in tema di modifiche. La procedura per la revisione degli articoli, prevede infatti una doppia approvazione di ambedue le camere, a distanza di tre mesi una dall’altra, con una maggioranza assoluta e un procedimento referendario o una qualificata di 2/3 in seconda lettura.
Impresa che metterebbe qualunque partito, in condizioni di dover chiedere l’aiuto ad altri soggetti politici della assemblea. Dalla segreteria del Pd per ora nessun commento all’annuncio, nessuna presa di posizione o critica, nemmeno dagli altri candidati in corsa. Certo se ci riuscisse, sarebbe un grosso passo in avanti, con una sola mossa, alleggerirebbe una classe politica poco ben vista, rinsaldando nel contempo, quel rapporto fra istituzioni politiche ed elettori, da qualche tempo pericolosamente incrinatosi.
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