di Gabriele Merlini
Anche nella terra degli interminabili sondaggi (elaborati. Proposti. Analizzati. Pubblicati. Valutati. Rielaborati) è possibile scivolare e ritrovarsi con niente in mano. La stampa ceca riporta infatti a scadenze ravvicinatissime i dati STEM, cioè quanto viene partorito dalle grosse stanze della agenzia di statistica Středisko empirických výzkumů a Žižkov, e talvolta capita di perdersi. Ma questo, risalente a poco tempo fa (era metà aprile) suona particolarmente intrigante perché ti sbatte in faccia spietato il dato secondo cui un risicato quarantuno percento dei cechi sarebbe soddisfatto di Praga nella Unione Europea. Risultato più basso dalla adesione nel duemilaquattro. Proseguendo, in un potenziale referendum sul supposto nuovo ingresso nella Unione, sarebbe il cinquantasette percento della popolazione ad esprimersi in modo contrario. Motivo: circa tre quarti dei cittadini sono persuasi di come la Repubblica Ceca sia stata incapace di recitare un ruolo attivo nelle politiche comunitarie e lasciamo perdere che in questi otto anni si sono alternati sei premier (Vladimír Špidla, Stanislav Gross, Jiří Paroubek, Mirek Topolánek, Jan Fischer e Petr Nečas) espressioni di una situazione politica e partitica non tra le più solide, nonché un capo di stato proprietario di un europeismo più o meno personale e discusso.
La soddisfazione pubblica verso l’EU cala di circa nove punti percentuale ogni anno con un equilibrio perfetto, fanno notare gli amanti delle simmetrie, raggiunto dodici mesi fa.
Volendo essere ancora più puntuali, all’interno dei soddisfatti solo il sette percento si dice davvero soddisfatto. Viceversa tra gli scontenti è seriamente scontento un ben più sostanzioso venti.