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REP. CECA: Putin, Stati Uniti e Siria. La versione di Schwarzenberg

Creato il 05 ottobre 2012 da Eastjournal @EaSTJournal

Posted 5 ottobre 2012 in Repubblica Ceca, Slider with 0 Comments
di Gabriele Merlini

Schwarzenberg Karel Big

Passano i governi (Topolánek e Nečas, saltando la parentesi tecnica di Paroubek) ma la faccia esportata ed esportabile della politica ceca resta la solita cioè quella sorniona, pacata, composta e antica di Karel Schwarzenberg. Già Karl Johannes Nepomuk Josef Norbert Friedrich Antonius Wratislaw Mena Prinz zu Schwarzenberg nonché ministro degli esteri di lungo corso e buon conoscitore delle dinamiche diplomatiche più adeguate per un piccolo ma talvolta inafferrabile paese come la Repubblica Ceca. Poiché, se l’idea di rappresentare una zona di confine -con gli equilibrismi che ciò comporta- è andata in gran parte perduta nel corso degli anni, non è certo stata una passeggiata rapportarsi con una tra le classi politiche più instabili e litigiose del continente, una transizione e un capo di stato quantomeno vulcanico.

Fondatore di un partito chiamato Tradice Odpovědnost Prosperita 09, già membro della resistenza al tempo del potere comunista, placido fumatore di pipa dal passaporto svizzero e consigliere di Václav Havel: una dettagliata intervista al magazine statunitense The Cable – Reporting inside the foreign policiy machine* si è fatta nei giorni scorsi occasione per riprendere alcuni spunti interessanti del pensiero del politico e la visione di Schwarzenberg riguardo situazioni complesse in pieno corso di svolgimento. Principalmente geopolitica e Russia. Rischi minori nell’esporsi da Praga adesso rispetto a fine anni sessanta, quindi siano sparate tutte le cartucce senza eccessive griglie di protezione.

Sulla Russia. Vladimir Putin starebbe da sempre lavorando per riaffermare l’egemonia di Mosca nella intera regione e l’Ovest – categoria un po’ polverosa ma forse utile per rendere l’idea – è stato troppo lento nell’accorgersi della faccenda. Da nobiluomo mitteleuropeo di inattaccabile formazione, il parallelismo suona raffinato: non stiamo tornando indietro a Stalin ma a Nicola I, ovvero quel tizio dal titolo esplicativo di Imperatore e Autocrate di Tutte le Russie sotto il quale l’impero raggiunse la propria massima espansione conquistando buona parte dell’Asia Centrale. In un ordine di idee sostanzialmente bipolare: conquista lui una qualche forma di supremazia, e la perde l’occidente.

La politica del reset della (prima) amministrazione Obama nei confronti di Mosca non è stata sufficiente per influenzare nel profondo il percorso del Cremlino e adesso tocca riconoscere e trattare con l’aggressiva autocrazia del presidente-premier-presidente russo. Non dobbiamo avere illusioni sul fatto che sia un regime e magari le cause di ciò dovrebbero essere ricondotte alla eccessiva disattenzione mostrata ancora dall’Ovest ai tempi di Eltsin (sebbene forse, in questo caso, più che disattenzione sarebbe corretto parlare di enorme difficoltà nell’inquadrare dall’esterno il pantano russo dei primi anni novanta, con quanto poi generato sia politicamente che economicamente.) Tuttavia si tratta di una nazione che sta cambiando molto più velocemente di quanto lui stesso avrebbe potuto pensare -società civile in primis, e recenti casi ne sono dimostrazione piuttosto chiara- e per fortuna non è così facile essere oggi un dittatore in Russia come lo era quarant’anni fa.

Sulla fetta di mondo non russa: cordiale come sempre l’incontro con Hillary Clinton dello scorso 21 settembre (fu Hillary stessa, per altro, artefice e portavoce della politica del reset USA verso Mosca, confrontandosi e trattando con il ministro degli esteri Lavrov nel periodo successivo l’insediamento di Obama, cui anche regalò il celebre bottoncino rosso** per ripartire simbolicamente) e proficui i discorsi sulla Siria, essendo la Repubblica Ceca l’unico paese occidentale che ancora mantiene una presenza diplomatica a Damasco con lo scopo, tra gli altri, di proteggere edifici gestiti e utilizzati da forze americane. Schwarzenberg sottolinea che il contingente ceco è rimasto nell’area per motivi pratici e non politici (linea tracciabile con qualche difficoltà ma restiamo agli atti) vale a dire acquisire informazioni -è la sintesi che emerge- in quanto imprescindibili strumenti per gestire al meglio la situazione. Semplificando: finché è possibile farlo e la diplomazia si dice bendisposta, be’. Ottimo motivo per non muoversi.
Karel Schwarzenberg si dichiara contrario alla no-fly zone e ad armare i ribelli da parte dei paesi occidentali sostenendo, con qualche dose di pragmatismo, che sono comunque ben armati da nazioni limitrofe come Qatar, Arabia Saudita e Turchia. Riassunto del riassunto: «in Siria c’è una normale guerra civile, solo più complicata perché all’opposizione stanno gruppi differenti con scopi differenti e finanziati da differenti stati.»
E se quel normale stride, fidiamo che possa trovare spazi altrove per analisi più approfondite della vicenda.

Infine sulla Repubblica Ceca relazionata all’estero (principalmente in rapporto con gli Stati Uniti): due i punti. Nucleare – con l’arrivo probabile di una società americana nel progetto di costruzione di un nuovo impianto in territorio ceco (oltre ai due esistenti a Temelín e Dukovany in Moravia) – e difesa missilistica, sebbene in termini retroattivi. Fu infatti Schwarzenberg a firmare l’accordo con l’allora Segretario di Stato Condoleezza Rice per la costruzione di un sistema di difesa antimissile in Repubblica Ceca puntato verso Mosca ma a protezione dall’Iran; accordo poi accantonato dall’amministrazione Obama.

Argomento sul quale il ministro torna lasciando trasparire un minimo di disappunto, tuttavia subito mediato dall’usuale scafatezza. D’altronde il nostro è un realista e sa bene che, anche nel caso di decisioni non ritenute giuste, è sempre meglio fare buon viso con gli Stati Uniti e restarne fedeli e taciturni amici. Ammissione cui fa seguire stoccata (talvolta anche i diplomatici di lungo corso vogliono stuzzicare certi coinquilini) nei confronti dell’ex ministro degli esteri ceco Alexandr Vondra che a suo tempo definì l’amministrazione Obama nemico-centrica: sparata ricollegabile al fatto che Vondra avrebbe vissuto dall’interno il blocco sovietico (Schwarzenberg ha trascorso gran parte dell’infanzia in Austria) e certe uscite ne rappresentano una fisiologica conseguenza.

Quale che sia il colore del prossimo esecutivo a Praga, difficilmente Schwarzenberg ne farà parte. Ma girano già alcune voci: Schwarzenberg na Hrad***, si sussurra. Schwarzenberg nel castello. Lassù dove si rintanano i capi di stato.

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Tags: Damasco, Gabriele Merlini, Karel Schwarzenberg, Mosca, Repubblica Ceca, Russia, Siria, Vladimir Putin Categories: Repubblica Ceca, Slider


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