INCHIESTE (Roma). I club italiani sono più virtuosi, e il calcio resta un attore importante dell’economia italiana. Ma ci sono ancora tante cose che vanno “aggiustate” nel tanto amato pallone nostrano. E’ questo in sintesi il risultato di Calcio Report, studio presentato oggi dalla Figc e realizzato in collaborazione con Ares. A fare gli onori di casa proprio il n°1 della federazione Gianfranco Abete ed Enrico Letta, che ha illustrato nello specifico i dati del Report. Il calcio con la crisi si tiene dunque a galla, mantenendo un buon trend di crescita nonostante l’austerity e gli alti debiti (2,892 miliardi per la sola serie A). Un livello non ancora sufficiente a permettere al calcio professionistico italiano di portare il proprio risultato netto in positivo (-388 milioni è il “rosso” della stagione 2011-2012), ma che ha quanto meno consentito di invertire la tendenza rispetto al deficit dell’ anno precedente (-430 milioni). Per la sola Serie A il risultato netto è passato da -300 milioni a -281 milioni, i debiti saliti dell’8,8%. Il calcio ai tempi della crisi può essere un bicchiere mezzo pieno, visto che per la prima volta nella stagione scorsa il costo della produzione è cresciuto del 4,9%.
Il valore della produzione è risalito in misura importante del 7% trainato anche dall’aumento delle plusvalenze sulle cessioni dei calciatori. I costi invece sono cresciuti in misura inferiore (+4,4%), a dimostrazione di una maggiore attenzione e un maggiore controllo da parte dei club. Oltre a questi piccoli progressi nei conti economici della Serie A, la stagione 2011-2012 si è anche contraddistinta per l’inversione di tendenza riscontrata in termini di stabilità finanziaria, con il il patrimonio netto delle società che, dopo anni di continue erosioni, è sensibilmente migliorato. I diritti tv continuano a rappresentare la principale fonte di ricavo dell’industria calcio (990,7 milioni nel 2011-2012), pari a circa il 37% del totale del valore della produzione, ma la sostenibilità dei conti poggerà in futuro per buona parte sul costo del lavoro, tornato a salire, sia pure in misura ridotta (+3,4% a 1.505 milioni, e quasi tutto imputabile al costo dei “cartellini”).
Non si arresta invece la flessione progressiva dei ricavi da stadio, scesi a 186,4 milioni: ormai rappresentano soltanto il 9% del totale. Ma se la serie A perde appeal, la B vola: se nell’ultima stagione la massima serie ha registrato un calo degli spettatori dell’1,6% rispetto all’anno precedente (oltre 200mila in meno), tra i cadetti gli spettatori sono addirittura cresciuti del 22,8%. Parte del calo della serie A, scrive il Report, è imputabile all’inadeguatezza degli impianti italiani: i 36 impianti che hanno ospitato gare di Serie A e B, hanno un’eta media di 57 anni e 15 non hanno i requisiti medi per accedere alla più bassa categoria Uefa.