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Saresti tu un giorno questa fresca terra / nutrita dai semi delle nuove stirpi / che accompagnerà per sempre la notte purificata / delle glorie fiammeggianti?
Alioune Badara Beye
Malick Kaire ha quarant’anni e da dodici vive a Bologna, dove insegna musica nelle scuole elementari e si esibisce in spettacoli serali con i tamburi djembe insieme ai suoi amici. Nato e cresciuto a Thiés, aveva perso i genitori quando era molto piccolo ed era stato cresciuto da uno dei suoi moltissimi fratelli maggiori e da sua moglie. Poi si era innamorato di Adja, una donna bellissima. Le aveva giurato amore eterno ma un giorno, dopo anni passati insieme, lei aveva conosciuto un altro uomo, dicendogli che era migliore di lui e che voleva sposarlo. Fu una partenza sofferta quella di Malick, un esilio del cuore, e da allora non è più tornato.
Ha una fronte spaziosa e un fisico asciutto, un animo buono e un nome che è profezia della sua esistenza: il nome di suo nonno, che è stato il fondatore dell’omonima scuola elementare nella zona nord di Thiès, non lontana dalla piazza principale. La stessa in cui da bambino andava Malick, oggi è frequentata da circa ottocento bambini, divisi in 12 classi da circa 70 alunni ciascuna, molte più bambine che bambini. Da Bologna riceve ogni anno gli aiuti economici che Malick raccoglie grazie ai suoi spettacoli musicali: è così che gli insegnanti possono comprare le penne e i quaderni per tutti i bambini, i libri e i gessetti per la lavagna. È così che si è potuto costruire un cancello che dà sulla strada per la sicurezza dei bambini, assumere un guardiano che dorma all’interno della scuola, alzare le mura di cinta e riparare qualche tetto rotto.
I bambini del quartiere nord di Thiés vanno a gruppi di quattro o cinque, a seconda dei bambini in età scolare che ci sono nella famiglia, e percorrono insieme una strada di sabbia per raggiungerla, che per i più lontani è lunga non più di un chilometro. È una delle scuole nelle migliori condizioni della città, anche se in qualche classe è visibile qualche crepa nel muro o qualche banco rotto. C’è tanta sabbia e tanta polvere ovunque e i bambini si fermano tutti i giorni dopo le lezioni per pulire un po’. Non c’è acqua corrente nei bagni ma solo un piccolo rubinetto nel retro del grande cortile, appena vicino a una montagna di rugginosi rottami di banchi vecchi. In qualche classe, come un avviso a metà tra la profezia e l’antidoto, c’è un cartellone che spiega le cause e gli effetti della malaria, con qualche consiglio per prevenirla.
Distante 70 km da Dakar verso l’interno, Thiés è la seconda città del Senegal e, anche con i suoi settemila km² e i suoi 265 mila abitanti, è una zona piuttosto rurale. A differenza della capitale ci sono solo due grandi mercati e sono gestiti in modo più tradizionale e familiare, con le ragazze scalze a vendere frutta e verdura, le bambine a vendere collane e bracciali, gli uomini a maneggiare carne e tessuti colorati. Tra loro molto quieti e silenziosi, gli abitanti di Thiés si conoscono quasi tutti e ogni quartiere è una grande famiglia che vive qualsiasi evento unita nella condivisione.
Gli equilibri che si creano e che si rompono in una famiglia senegalese quando un membro della famiglia emigrato torna, anche se per una breve visita, sono difficili per noi da capire e per loro da gestire. Chi torna viene considerato un uomo realizzato e di successo, che ha tutto, privilegiato rispetto agli altri che non hanno niente. Ma quando un ragazzo torna dall’estero non ha solo il diritto a un trattamento speciale, a un potere decisionale maggiore nella famiglia e anche alle donne più belle, ma ha anche il dovere di spartire tutto ciò che ha ottenuto con parenti, amici e vicini. E a fare loro dei grandi regali.
Trattati quasi alla stregua di un tubab, un uomo bianco, ormai è segnato per sempre dal tintinnante sudore della propria fronte, dalla pesante catena della propria fatica, dalla luccicante stella della sua fortuna. Ma chissà quanto ancora Malick aspetterà, insegnando ai bambini italiani a sentire la musica nelle vene, prima di tornare per sempre a casa.
fotografie e testo di Valeria Gentile
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