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Creato il 13 marzo 2012 da Albertocapece

Repubblica ClubAnna Lombroso per il Simplicissimus

La profezia secondo la quale in Italia si sarebbe configurata una specie nuova di fascismo, molto più potente e sofisticato di quello storico e perciò più difficile da riconoscere, fondato sul nuovismo e sulla crescita: uno sviluppo economico senza progresso sociale e morale, si è avverata.
Per anni ci siamo incartati in vecchi schemi: democrazia e dittatura, sviluppo e arretratezza, classi superate come il dualismo destra- sinistra, progresso e reazione. Intanto il nuovo regime si affermava senza bisogno di ideologie o repressione cruenta perché gli bastavano le merci e la loro onnipresente rappresentazione, fornita a un popolo che non era più di operai oppressi o borghesi arrivati, ipocriti o moralisti, progressisti o retrivi, ma soprattutto, o forse solo, consumatori, grazie agli strumenti di persuasione e orientamento di consumi, costumi, inclinazioni, televisione e media.

Si aveva ragione Popper aveva ragione Adorno aveva ragione Pasolini aveva ragione Eco sulla perversa educatrice. Ma non è del tutto vero che la televisione sia egemonica, che essa sola corrompa le menti e condizioni carta stampata, letteratura, spettacolo, arti. Probabilmente è vero che c’è una interazione aberrante: Zagrebelsky e Geppi Cucciari, politica e varietà, rappresentazione del potere e potere, narrazione e verità, auspici e profezie auto avveranti, uso improprio e provocazione per i quali argomenti leggeri vengono trattati con sussiego accademico e temi pesanti con volatile futilità. Il sostare ben accomodati nella domestica poltiglia ha aiutato la destra nel processo di occupazione della sinistra, grazie all’eterna illusione dei progressisti che la destra fosse un fossile inoffensivo, storicamente superato. Che si dovesse accondiscendere al pragmatismo, addomesticarsi coi costumi del mercato, farsi la proprio banca, andare in Kenya, familiarizzare col nemico di classe, mutuarne usi e desideri, assecondarlo annettersi fino a assomigliargli e esserne accettati.

Qualche giorno fa su questo blog un’accorata Rosella Roselli si lamentava per la defezione di Repubblica dal necessario esercizio della critica, dismesso gioiosamente con la caduta di quello che sembrava essere l’ultimo imperatore. Eh si gli orfani di Berlusconi sono svariati, comici, commentatori, disegnatori, giornalisti quasi tutti diventati obiettori di coscienza e scriteriatamente sottomessi allo stato di necessità che fa dell’adeguamento servile una virtù patria.
Ma aspettarsi qualcosa di diverso da Repubblica, il cui abbraccio ha ecumenicamente stretto troppo De Mita e Ciampi, Amato e Veltroni, Segni e Cofferati, Prodi e Franceschini, Rutelli e Dini Maccanico e Scalfaro, Bersani e Fini, è un peccato di ingenuità che concediamo di buon grado a Sallusti che proprio oggi intravvede segni di scontento verso il governo nell’editore. E fallo anche essere contento, si direbbe a Roma: cosa farebbe di più per dimostrare adesione e ubbidienza cieca, assoluta, e spregiudicata, a Monti alla compagine e alla sua ideologia, di conseguenza e direttamente quindi, alle linee indicate dall’antico antagonista di eccellenza.

È che sotto alla testata di Repubblica, che magari perde lettori, magari.. ma come tutta la carta stampata, anche in virtù del suo misoneismo rispetto alla potenza della rete, andrebbe scritto “quotidiano del partito liberista”. Il padre fondatore ora dedito – non abbastanza – alla manutenzione dell’anima, tante volte ha scritto che il peso di un giornale “non si misura dalle copie che vende me dal ruolo e dall’autorità morale che riesce ad esercitare”. E l’impegno di Repubblica è sempre stato indirizzato acrobaticamente, grazie a sapienti equilibrismi, a rappresentare l’indignazione, quella per nazioni e capitali corrotte e infette, rendendola organica e funzionale al potere in carica o in attesa di esserlo, cui elargire consigli, suggerimenti, raccomandazioni, anche qualche critica perbacco, in modo che resti in sella più grande e splendente che pria. Lo testimonia una certa indeterminatezza su certi temi e la riluttanza a schierarsi apertamente su alcuni fronti, necessarie a perseguire la sua politica, quella di tenere aperto il dibattito, di sviluppare il confronto. Insomma di mantenere il contesto per la “clasa discutidora” impegnata in una visione del futuro “occidentale”, modernamente edificante, efficiente, realistico, a disposizione di una èlite, quella che legge Repubblica, of course, tecnocratica, dotata, flessibile, vincente, ambiziosa, laica, ma ammirativa della religiosità, libera, ma nel conformismo, colta ma specialistica.

Il giornale partito ha per anni conseguito il successo plebiscitario di far sentire chi non lo leggeva “fuori dalla società”, incompetente, disinformato, stonato rispetto alla colonna sonora imperante, vecchio, escluso insomma per dirla con Martone, sfigato. Ha criticato le ideologie per affermare quella del mercato, ha criticato lo Stato per esaltare l’iniziativa privata, ha guardato con indulgenza ai referendum per dare addosso al parlamentarismo, ma ne ha avvilito le vittorie se attribuivano sovranità a scelte “sgradite”. Come in anni non sospetti disse con folgorante intuito Berardinelli, ha indotto nel suo pubblico la rasserenante certezza, soddisfatta e riconciliante di essere nel più favorevole, punto di osservazione, all’incrocio privilegiato tra tutte le strade dell’opinione pubblica, grazie all’offerta di tutto quello che si produce di più moderno, europeo, globale, disincantato, furbo e avanzato. In modo che ci si sentisse sazi, membri cooptati e accolti generosamente in una comunità privilegiata, trasformando lo smarrimento della nostra età nella confortevole sicurezza dell’appartenenza a un club esclusivo.
Ma ora la nostra incertezza non si accontenta, preme un pubblico che in quel club non verrebbe mai accettato, vecchi e nuovi esclusi. L’indignazione è diventata collera e la repubblica, quella vera, è avvelenata e minacciata nella sua democrazia, nei suoi diritti, nel suo lavoro, nella sua cultura, nella sua gente. L’altra, quella di carta, prima o poi sarà costretta ad accorgersene.


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