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Requiem per la Ligera, di Omar Gatti

Creato il 20 dicembre 2013 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

Da Fralerighe Crime n. 10

Requiem per la Ligera, di Omar Gatti
Milano, 1952. La città del Duomo non è ancora la ricca metropoli degli anni a venire, e anche la criminalità organizzata non è la stessa. Ben lontana dall’essere il feudo della Ndrangheta dei giorni nostri, la Milano dell’epoca è divisa tra diverse bande; ma nessuna di queste riesce a imporre la propria supremazia sulle altre. Tra le varie organizzazioni – gangster marsigliesi, mafiosi siciliani, assassini calabresi, sequestratori sardi, rapinatori veneti – la peggio messa è la Ligera, la malavita autoctona milanese, fatta di ladri, puttane e contrabbandieri. Agli occhi degli altri risulta debole, finita; al punto tale che qualcuno pensa bene di sterminare l’intera famiglia del Sciresa, boss della Ligera ormai ritiratosi dagli affari. Questi, per quanto vecchio e ormai ininfluente, non ha nessuna intenzione di passare sopra l’affronto, di perdonare. Con l’aiuto del fedele Cinghei e di un pugno di criminali, il vecchio boss cercherà la sua vendetta, dando il via a una guerra tra clan mai vista prima a Milano, fatta di mitra, bombe e gole squarciate, dove tutto è permesso e nessuno è pulito.

Omar Gatti presta la giusta attenzione alla ricostruzione della mentalità dei suoi personaggi, rendendoli credibili e solidi. Il protagonista-narratore, Cinghei, ci racconta la vicenda senza la minima traccia di romanticismo. E’ un assassino a parlare, e si sente. Ci sono anche l’affetto, l’amore, la fedeltà, ma sono sentimenti vissuti coerentemente col resto. L’amicizia diventa complicità nel crimine, la fedeltà il collante del gruppo e l’amore un’esperienza bruciante e dolorosa.

Non c’è speranza, nella Milano del Cinghei. Per tutta la durata della lettura si avverte forte il declino di un’epoca e di uno stile di vita, quello del Ligero. Ciò dà un ché di crepuscolare, di cupo, al romanzo; che si fonde al ritmo serrato e alla violenza ricorrente. L’autore è ben attento a non annoiare i lettori: racconta la sua storia con uno stile asciutto, duro e intriso di dialetto meneghino. Tutto ciò che non è necessario è stato tagliato via, in questa storia veloce come un proiettile: non troverete divagazioni, descrizioni superflue e altra roba “allunga brodo”. Questo, per me, costituisce un grandissimo punto a favore.

La conoscenza del genere di Omar Gatti si fa sentire non solo nelle citazioni più o meno velate, ma anche nella costruzione della trama: il romanziere mescola la violenza dell’hard boiled, la Milano noir di Scerbanenco, il ritmo del thriller e un mistero da scoprire, come nella migliore tradizione gialla. Una miscela intrigante e ben riuscita.

E’ il primo romanzo che leggo sulla Ligera. L’argomento è sicuramente meno inflazionato della Mafia siciliana, della Ndrangheta, della Camorra, il ché dona alla storia un pizzico di originalità. In compenso, però, la trama non è poi così innovativa. Niente di trito e ritrito, per carità. Si tratta di un romanzo “classico”, ecco tutto. Bello, avvincente, ma non molto originale.

Si tratta, quindi, di una storia che punta al coinvolgimento e all’intrattenimento del pubblico e ci riesce molto bene. Un romanzo criminale puro e “semplice”, di quelli tosti.

Una piccola chicca per gli amanti del genere. Consigliato.

Voto: 8 ½

Aniello Troiano



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