Mi devo scusare. Con un sacco di gente dunque lo faccio qui oggi 6 agosto quando mi sembra di respirare un attimo (ma neanche troppo). Con le lettrici per aver abbandonato a lungo il blog senza preavviso che non è mai una cosa bella da fare (a parte qualche sporadica risposta), con le colleghe blogger che mi hanno lanciato mail, corde e appelli a cui io non ho potuto dar seguito, con amiche alle cui mail è passato pure un mese prima che potessi rispondere. Mi scuso qui con tutti.
Ma.
Ho dormito poco in questi ultimi tre mesi. Meno della mia media quotidiana che era già poco.
Ho scritto poco, ho lavorato poco. Ho fatto tutto poco. Gli eventi quotidiani mi hanno travolta ogni giorno, giorno per giorno e ogni risoluzione poneva un nuovo dubbio, e ogni dubbio risolto si trasformava in una nuova questione. Il cervello sembrava sempre carico di qualche ingombro.
E’ stato un periodo intenso con Michelangelo che cresce e io mi sento sempre un po’ impreparata, sempre un po’ in ritardo, sembra sempre che lui preceda di un attimo il mio imparare che vada sempre un po’ più veloce di me. Quando mi sembra di sapere quello che devo fare si è già passati avanti. Non so, funziona sempre così con i bambini?
A questo si aggiunge l ’acquisto della nuova casa, la ristrutturazione, l’architetto, i preventivi, le scelte (che menomale che nel mio range cromatico esistono solo il bianco e il nero e qualche minima variazione di grigio) l’ennesimo trasloco. E il caldo il caldo il caldo.
E poi il lavoro (certamente) e l’operazione dell’uomo di casa che toglie in momenti cruciali le due braccia principali a tutto l’ambaradan.
Insomma un’ecatombe. Nessun aiuto dalle rispettive famiglie. Come di norma. Certi giorni ero così stanca che piangevo per il troppo stress. Mai sono stata così stanca così intensamente e inverosimilmente stanca, con il corpo e con la mente.
Però il peggio è passato. Da una decina di giorni abbiamo trovato rifugio in Puglia. Il mare è trasparente e quei minuti che passano dall’arrivo in spiaggia a Mic che reclama ogni attenzione sono pura pace. Poi iniziano il gioco e la giornata. Poco spazio ai pensieri e alle preoccupazioni.
E devo dire c’è questa cosa che a me la Puglia mi fa un effetto che mi rimette in circolo tutto il sangue al doppio della velocità e mi sale l’adrenalina della felicità, il buon umore, una sensazione di potenza e onnipotenza che mi fa mormorare tra me e me “andrà tutto bene andrà tutto bene”. Ora ci sono con mio figlio. Per la prima volta. E lo guardo e mi si apre il cuore a vederlo giocare nella mia sabbia.
E così nelle tre ore che lui mi regala quando crolla nel sonno pomeridiano sfinito dal mare dei bambini io riesco a tornare a scrivere. Finalmente anche solo col pensiero riesco a riprendere in mano i miei progetti, i miei racconti, il nuovo libro.
Sono solo tre ore eppure mi sembrano molte di più per l’energia che mi porto appresso.
Ho lasciato indietro tante cose negli ultimi tre mesi. Troppe. Alcune molto importanti, altre sono state le prime a cadere, forse non lo erano così tanto. La selezione naturale appare brutale ma estremamente efficace in questi casi.
Però c’è una cosa che mi dà il cruccio, a cui avrei voluto rispondere subito, a cui avrei voluto dar voce immediatamente, perché è un pensiero importante e tutti dovremmo rifletterci. Un post scritto da Francesca Sanzo, Panzallaria, la creatrice insieme ad altre donne di Donne Pensanti. Chiedeva a tutti noi di iniziare una RESISTENZA, una resistenza attiva ai modelli di pensiero stereotipati e unilaterali. Ci chiedeva di diventare PARTIGIANI del pensiero.
Mi è sembrata in quel momento di afa e stanchezza un’immagine bellissima. Noi partigiani e staffette in un paese che ancora una volta è finito nelle mani sbagliate. E nessuno di noi si può esentare. Ognuno deve partecipare, metterci qualcosa. Chi il pane, chi la bici, chi la salsiccia.
Diceva Francesca. Quando mia figlia mi chiederà Mamma cosa hai fatto tu per impedire tutto questo? Non voglio risponderle niente, io non ho fatto niente.
Nemmeno io, quando Michelangelo me lo chiederà. E allora immaginiamoceli i nostri figli, tutti insieme, tutti in fila, a guardarci, a interrogarci con gli occhi, con lo sguardo. Che cosa gli potremo rispondere? Stavo lavorando, guadagnando, traslocando, ristrutturando, risolvendo centomila problemi?
Non si tratta di trovare un’ alternativa politica. Quella arriverà prima o poi, ormai è solo questione di qualche anno, uno due cinque. Né di tirar su edifici come dopo una guerra. Quella che ci dobbiamo preparare a fare è una ricostruzione etica e culturale di questo paese. E’ questo che lasceremo ai nostri figli. E per fare questo non bastano cinque anni, ci vuole una vita, una generazione intera che si prende sulle spalle la responsabilità.
E siamo noi. Non è più possibile delegare agli altri. Dobbiamo pensare, parlare, discutere, unirci, trovarci. Spegniamo le televisioni, portiamo i nostri figli al cinema, a teatro, ad ascoltare musica a vedere una mostra. Raccontiamogli che cos’è il bello, che cos’è l’arte, la ricerca. Programmiamo viaggi insieme a loro. Scopriamo popoli, usanze, cibi, gusti, lingue. Facciamo tutto questo da soli o con altre famiglie. Condividere le esperienze ci fa sentire meno soli e aiuta i bambini a stare insieme fin da piccoli.
E’ la spinta a ritrovare il pensiero, a uscire di casa, a scegliere di diventare attivi, e non più passivi. Sono certa che i risultati saranno lì molto prima di quanto pensiamo. Che i nostri figli capiranno la differenza, impareranno a scegliere da bambini e da giovani adulti tra il bello e il brutto. E’ un principio culturale che facilmente si trasforma in principio etico.
Dobbiamo intervenire ora. Dobbiamo diventare partigiani e mettere in atto la nostra resistenza. Non c’è più tempo da perdere. Mio figlio ha sedici mesi. Quando mi chiederà mamma ma tu cosa hai fatto per questo paese, non mi piacerà abbassare gli occhi e cercare una scusa. Preferirei mostrargli le cicatrici.