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“Respiro corto” di Massimo Carlotto

Creato il 16 maggio 2012 da Sulromanzo

Massimo Carlotto, Respiro cortoUn romanzo che si legge in tre nottate e si dimentica in cinque minuti. Anche adesso mi riesce difficile parlarvene e le possibilità sono due: o sono affetta Alzheimer a mia insaputa, oppure Carlotto ha confezionato un intreccio che non lascia segno nella memoria. Per ovvi motivi, preferisco la seconda ipotesi, ma, per onestà intellettuale, non escludo del tutto la prima. Se questa storia fosse Il buono, il brutto e il cattivo, per fare la parte del cattivo bisognerebbe prendere il numero e mettersi in coda; fosse una gara di simpatia, il premio resterebbe vacante.

Quello che mi ha immediatamente colpita in Respiro corto (Einaudi, 2012) è la presenza di cartongesso, tanto cartongesso, tirato su per ingannare l’occhio.
La storia si svolge in Francia, ma i delinquenti arrivano da più lontano. Una serie di cattivi che vogliono fregare i cattivoni e diventare i più cattivi in assoluto. Eccoli, allora, lasciarsi alle spalle la Russia, il Paraguay e l’India con destinazione Marsiglia. Il cartongesso riesce a ricreare tutte le location: l’importante è crederci. A queste cartoline “saluti da” vanno aggiunti i personaggi, come fossero gli ometti del Calcio Balilla. Già, perché il romanzo bisogna prenderlo un po’ così, come fosse il libretto d’istruzioni di una Billy dell’Ikea: ti dicono che uscirà una libreria, e tu gli dai fiducia. Ti ostini a credere a Carlotto e all’Ikea, perché sarebbe peggio pensare d’aver preso una cantonata. Eppure, nonostante la buona volontà, non sono certa d’aver speso bene i miei soldi: diciassette euro sono troppi per un volume in brossura, decisamente troppi per Respiro corto.

Ma vediamo di raccontare quello che accade nel libro, tenendo presente che i cattivi — i sei personaggi principali —, quando cambiano nazione, cambiano pure identità. Un nuovo nome e cognome per tutti, e, diamo di nuovo la colpa al mio attacco d’Alzheimer, ma ho faticato non poco per ricordarli tutti (dimenticandoli, comunque, alla svelta). I nostri ragazzotti sono impeccabili malavitosi in giacca e cravatta, hanno studiato Economia a Leeds e deciso d’impegnarsi per fare soldi in modo illecito, mandando in pensione — meglio se da morti — i vecchi capobranco della malavita internazionale: dinosauri che vanno lenti e non sanno cogliere il cambiare del vento, mentre loro, i rampolli di questa finanza sommersa, faranno di tutto per battere la concorrenza a grandi falcate. «Sono giovani, spregiudicati e corrono terribilmente veloci» spiega la quarta di copertina, e se non fossero gentaglia, magari li si potrebbe mandare alle olimpiadi.
I ragazzi di Leeds andranno dove il profitto è maggiore e dove la speculazione fa fare cassa. Naturalmente, sono tutti tipi in gamba: intelligenti, bella presenza, modaioli e tombeur de femmes. Assomigliano un po’ a Dirk Pitt, pur essendo «i più cattivi», quelli che «ammazzano i genitori per andare alla gita degli orfani» (Pagina 87). Loro sono la Dromos Gang, e già questo mi avrebbe indotta ad accantonare il romanzo, non avessi preso l’impegno di parlarvene. Sarò sincera, a me la Dromos Gang fa ridere, non riesco a trovarla una cosa seria. Ovviamente, è un sentire puramente personale, ma il nomignolo scelto da Carlotto mi ha subito dato l’idea di una band anni ‘70 con le capigliature alla Napo Orso Capo. Lo so, in una recensione certe cretinate non bisognerebbe dirle, e me ne assumo tutta la responsabilità.

Torniamo ai nostri virgulti del crimine. Siamo a Marsiglia e se ci sono i cattivi bisogna aggiungere al biliardino anche i buoni. Che poi, buoni...
Qui, la legge veste i panni di una signora di mezza età, poco piacente, poco elegante e molto lesbica. In auto ascolta Johnny Halliday, cosa che viene ribadita almeno sei volte nel corso del romanzo — sempre che non ne abbia saltata qualcuna —, quasi fosse un’informazione di vitale importanza. La signora fa il commissario. Il dato lo aggiungo con le pinze, visto che la nostra Bernadette Boudret  — B.B. per gli amici, tanto per sottolinearne la scarsa appetibilità — agisce per conto proprio, disinfestando Marsiglia come meglio le riesce: con le maniere forti e senza troppi scrupoli. E se la Brigata Anti-Crimine di B.B. si accorda col vecchio boss marsigliese Armand Grisoni — un tale che sembra persino una brava persona, se lo si confronta con gli altri, buoni o cattivi che siano —, allora risulta chiaro che la pace è mantenuta con puntelli e favori. La nostra B.B. tiene i peggiori fuori dalla città — come lo sceriffo di un vecchio film western —, lasciando intatto il vecchio orticello dell’illegalità di chi già conosce e sa come prendere. Per questo assolda tra i suoi anche Esteban Garrincha, un trafficante di droga in fuga da Ciudad del Sol, un delinquente che ha fatto il passo più lungo della gamba; un uomo dalle «innegabili qualità criminali», afferma il commissario a pagina 62. È l’ennesimo burattino poco socievole — ovviamente anche lui tombeur de femmes — che si inserisce nella storia, un ciclo di lavatrice per bucato grosso, dove trapianti d’organi e criminali russi vengono aggiunti come l’anticalcare e il detersivo.
«Esteban Garrincha era un professionista della violenza. L’adolescenza vissuta al barrio Tarzan, la periferia più degradata della capitale, l’esercito e la banda di Carlos Maidana gli avevano insegnato a uccidere, torturare, picchiare in ogni modo possibile.» (Pagina 58). Uno che viene buono per creare scompiglio all’occorrenza, e che non faccia troppe storie perché «Possiamo farti quello che vogliamo e poi buttarti a mare con una pietra al collo e nessuno saprebbe niente» chiarisce B.B. al loro primo incontro (pagina 43), mentre i suoi scagnozzi usano un taser per far cantare Garrincha in un coro di voci bianche.

Respiro corto è un noir che vorrebbe portare alla luce le malefatte della criminalità moderna, che veste Armani e preferisce la ventiquattrore ai fucili a canne mozze, ma temo che l’operazione non sia riuscita. I personaggi sono finti, la violenza si spreca, anche quando non servirebbe a chiudere il capitolo in bellezza. I dialoghi sono spesso “a scatti”, ma non scattanti. Ecco il commissario Boudret scambiarsi cortesie con Xixi, la bellissima — non potrebbe essere altrimenti — tenutaria del bordello più esclusivo di Marsiglia: «Voglio te» «Ma io non sono nel listino» «Lo so. Ma io sono la legge» «Io la legge la pago ogni mese» «Insomma non vuoi proprio trastullarti con questa poliziotta?» «Vanessa è più bella e più brava» (Pagina 69). C’è poi da segnalare che i terribili, furbi, preparatissimi ragazzi della Dromos si fanno fregare come polli a pagina 177. Raccontarvelo sarebbe sciuparvi il finale e non me la sento di farvi questo dispetto. Ve lo farà Carlotto, sistemando le cose in maniera gagliarda, ma frettolosa, ancor meno credibile del resto della trama.
E l’editing? A colpo d’occhio ho scorto qualche pecca, ma cosucce di poco conto. A pagina 112, troviamo «Vorilov ti manda i tuoi saluti», mentre immagino che il signore in questione avesse voluto inviare i propri. A pagina 122, non può lasciarvi indifferenti quel passaggio improvviso di soggetti: «È convinto che incontrarmi è stata la sua fortuna, ma mi sa che alla fine a me è andata meglio. A cena incontrarono un faccendiere greco, tale Stephanos Panaratis. [...]» (il grassettato è mio). Semplici sbavature, sia chiaro, ma visto che la brossura di Einaudi viene via a diciassette euro...

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